di Giuseppe Di Vittorio
Le nuove tasse non piacciono mai. E l’ormai famigerata Tobin Tax ancora meno delle altre: perché minaccia seriamente il trading online col risultato di vanificare gli obiettivi di gettito per cui è stata pensata, e per di più senza davvero fermare la tanto temuta speculazione. Per chi ancora vuole operare sui mercati, caccia dunque ai mercati o strumenti esclusi dalla nuova imposta. Focalizzandosi sul mercato azionario, MF Trading Online ne ha tracciato un elenco, che va dai titoli italiani di società con meno di 500 milioni di euro di capitalizzazione ad azioni e derivati esteri, dai titoli di Stato ad altre obbligazioni, dagli Etf alle valute. Storia a sé fanno invece i prodotti del risparmio gestito, sempre esclusi dalla scure pesante del fisco ma poco praticabili per l’attività di trading, con la sola eccezione degli Etf che, per le loro caratteristiche in termini di costi, liquidità e struttura, costituiscono una valida alternativa per esempio al derivato sul Ftse Mib. Ed è subito caos. Ma perché affannarsi a cercare strumenti esenti quando in fondo la Tobin Tax, almeno nell’ultima versione, non è poi così pesante per gli operatori o almeno non abbastanza da recare danni irreparabili al sistema? Ricordiamo che per il primo anno di applicazione la Tobin partirà nel corso del 2013 con un’aliquota maggiorata di 2 centesimi rispetto a quella ordinaria dello 0,12%.Il problema vero in realtà sta nella complessità e confusione che la nuova tassa apporta: tariffe e aliquote cambiano a seconda degli strumenti finanziari scelti e perfino del loro valore che peraltro muta nel tempo, Un classico ginepraio all’italiana, sufficiente a scoraggiare anche i più volenterosi: un trader non può perdersi in complicati calcoli fiscali prima di cliccare un’operazione oppure operare col timore che alla fine i conti non tornino. In sostanza, la percezione di quanto dovuto all’erario è molto più alta di quanto si deve davvero pagare, e questo porta a spostarsi verso altri investimenti. E se le difficoltà scoraggiano gli operatori di lungo corso, per i neofiti diventano addirittura insormontabili. Piccolo è meglio. Tornando agli esclusi, del mercato azionario sono stati salvati i titoli a bassa capitalizzazione e l’operatività intraday. Le società escluse sono quelle con capitalizzazione di borsa inferiore a 500 milioni di euro: la valorizzazione ai fini fiscali viene fatta a novembre e vale dal 1° gennaio fino al 31 dicembre dell’anno successivo, quindi ai trader basta verificare l’esistenza della condizione una volta l’anno. A oggi un terzo dei 300 titoli quotati a Piazza Affari rientra nella categoria degli esenti. Di questi i dieci a maggiore capitalizzazione (quindi più liquidi) sono Marr, Credito Valtellinese, Astaldi, Camfin, Dea Capital, Italmobiliare, Zignago, Sol e Save. Fatta eccezione per Astaldi, Camfin e Credito Valtellinese, gli altri titoli non dicono molto ai trader. Una scelta ancora migliore è invece quella di puntare sui titoli con maggiore capitalizzazione per singolo settore. Un esempio in questo senso sono Safilo (ottica), tra l’altro quello con la taglia più grande nel settore dei consumi ciclici, L’Espresso (comunicazione), Cofide (holding che controlla il gruppo editoriale L’Espresso), Kme o Isagro nel settore delle risorse di base. Alcuni di questi però potrebbero avere dei problemi sul fronte della liquidità rientrando nella cosiddetta categoria dei titoli sottili. L’applicazione della Tobin Tax potrebbe però favorire uno spostamento di risorse proprio su queste azioni, migliorandone quindi la liquidità. «In Francia è accaduta una cosa del genere», ha spiegato Vincenzo Tedeschi di Binck Bank. Oltralpe la Tobin Tax, in vigore da agosto, viene applicata ai titoli con capitalizzazione superiore al miliardo di euro. Del resto, così come in Francia, il legislatore italiano, ha applicato la Tobin Tax sono ai maggiori titoli del listino e solo sulle operazioni overnight proprio per preservare la liquidità sui mercati, mentre è esclusa l’attività intraday. A questo proposito è bene ricordare che spesso anche i day trader decidono di portare al giorno successivo alcune posizione in guadagno, ma in futuro potranno continuare a farlo solo sui titoli esenti. Il cash degli altri. Un’altra strada per evitare l’imposta è quella di puntare sui mercati esteri. Il legislatore li avrebbe tenuti fuori per non incorrere in contenziosi con gli altri Paesi. Le opportunità in questo caso sembrano tante, ma in realtà sono meno di quante si pensi. Escludendo i mercati dei Paesi periferici, la borsa di Parigi perché già paga una tassa analoga a quella tricolore, e la piazza inglese, a buon mercato solo per gli investitori istituzionali (i privati inglesi infatti utilizzano altri strumenti rispetto alle azioni) il mercato più liquido, tecnologicamente avanzato e affine a quello italiano è lo Xetra tedesco, che in più gode del fatto che la Germania ha deciso di rinviare l’applicazione della Tobin al 2016. La piazza di Francoforte attira i capitali italiani anche perché le società tedesche quotate sono note in Italia, quindi l’investitore non si sente spaesato. Titoli come Daimler e Volkswagen nel settore auto, Bayer per il farmaceutico, il colosso energetico E.On, Simens per la tecnologie, Adidas e Allianz non hanno bisogno di presentazioni, tanto è vero che alcuni trader li avevano già sperimentati. Per problemi di fuso orario è meglio lasciar perdere i mercati extra europei, dove tra l’altro l’offerta di operatività è per ora limitata o costosa, anche se in futuro, proprio a causa del nuovo contesto normativo, i broker forse lanceranno offerte più appetibili. Per chi è disposto a rivoluzionare i propri orari resta infine Wall Street, che ha però regole particolari, in tema per esempio di immissioni di ordini short oppure per la presenza degli Ecn, strumenti da noi sconosciuti, con conseguenti difficoltà soprattutto per gli scalper. Tornando all’Europa, una quota di mercato la sta pian piano conquistando l’Olanda, ma anche in questo caso l’offerta dei broker è per ora limitata, fatta eccezione per alcuni intermediari specializzati sulla piazza di Amsterdam. I dati più recenti dicono che poco più del 25% dei trader dichiara di aver negoziato azioni su mercati esteri nell’ultimo anno, mentre degli oltre 19 milioni di eseguiti azionari il 92% è effettuato su mercati italiani, il 5% su quelli Usa e il 3% su quelli Europei. Dell’attività sui mercati esteri, il 25% riguardava la borsa tedesca e due terzi gli Usa. (riproduzione riservata)