Di Laura Magna
Sei miliardi di deflusso nei primi 9 mesi del 2012, ma con un terzo trimestre in ripresa (+1,4 miliardi). Questi in estrema sintesi i numeri della raccolta del risparmio gestito in Italia, come comunicati da Assogestioni. Dunque, la stagione nera dei fondi comuni è conclusa? Siamo a un punto di svolta? «Non mi pare ancora un punto di svolta – dice a B&F Franco Benini, responsabile Ufficio Studi Copernico Sim – a ottobre i dati mostrano ancora tendenze altalenanti. Esistono variazioni anche rilevanti che, tuttavia, non sembrano ancora espressione di un trend». E infatti a ottobre il settore ha registrato 1,9 miliardi di riscatti ma con un patrimonio che è tornato a sfiorare la quota record dei 1.200 miliardi di euro (1.182 mld). La nuova struttura degli asset vede il 56% delle masse concentrate nelle gestioni diportafoglio ed il restante 44% affidato alle gestioni collettive, ampiamente rappresentate dai fondi aperti. Nel mese è proseguita le corsa dei prodotti obbligazionari che mettono a segno una raccolta di oltre 1,1 miliardi di euro. In flessione, ma sempre sopra la parità, i fondi flessibili con flussi pari a 278 milioni di euro. Sono tornati, infine, in positivo i prodotti bilanciati (60 milioni di euro). Per le gestioni di portafoglio il periodo di riferimento si chiude con oltre 1,2 miliardi di deflussi e un patrimonio che supera abbondantemente i 660 miliardi di euro.
«Il ritorno di interesse verso i fondi comuni da parte dei risparmiatori – commenta Massimo Scolari, segretario generale Ascosim – è un fatto estremamente positivo e ci si augura che questa tendenza si consolidi nel tempo. I fondi sono i prodotti più adeguati e trasparenti per l’impiego del risparmio delle famiglie». E comunque non tutte le categorie di fondi si sono comportate allo stesso modo. «Nel 2012 – precisa Scolari – la raccolta netta dei fondi obbligazionari è stata positiva per 17,5 mld. Le categorie di fondi che hanno maggiormente beneficiato sono state quelle degli Obbligazionari paesi emergenti (3,8 mld), Obbligazionari High Yield (1,3 mld) e Obbligazionari flessibili (10,5 mld). Ciò è spiegabile dalla maggiore propensione alla diversificazione di portafoglio verso diverse valute ed aree geografiche, obbligazioni societarie ad alto rendimento e strategie di investimento a ritorno assoluto, a fronte di una minore concentrazione nelle obbligazioni governative dell’area Euro». «I comparti più generalisti – conferma Benini – hanno perso terreno mentre la ricerca di risultati ha spostato l’attenzione su asset più specifici. L’effetto è stato più evidente nel settore obbligazionario, dove i titoli investment grade ormai hanno rendimenti molto scarsi mentre una buona gestione su titoli più rischiosi o geograficamente lontani può avere dei risultati interessanti»
RITROVARE LA FIDUCIA. In ogni caso, i risparmiatori sembrano aver perso interesse per i fondi comuni in generale. Di fronte a questo fatto l’industria dovrebbe forse ripensarsi e trovare nuove strade per ricominciare a crescere. «Crediamo che anche nel risparmio gestito una parte della crisi sia di fiducia – continua Benini – Nei momenti difficili emergono le contraddizioni di un’offerta caratterizzata ancora da conflitti di interesse che, in questo modo, perde ancora più attrattiva sul pubblico. Il servizio di consulenza indipendente, retribuito a fronte di una totale retrocessione degli inducements, a nostro parere è già una strategia attraente perché elimina i conflitti di interessi tra cliente e consulente, soprattutto quando quest’ultimo rappresenta l’apice di un’offerta che parte dalla gestione (se non anche più a monte) per arrivare alla distribuzione. La revisioni normative del settore potranno avere impatti benefici nel medio lungo periodo se interverranno realmente in tema di separazione dei servizi e dei relativi costi». Una sempre maggiore indipendenza sembra essere l’unica vera arma vincente del settore. «Da un lato i collocatori, in particolare le banche – spiega Scolari – hanno in questi anni rallentato l’offerta dei fondi ai propri clienti, privilegiando strumenti di raccolta diretta; dall’altro, le società di gestione dei Fondi non hanno, a mio avviso, sufficientemente adeguato ed innovato i propri prodotti, la struttura del pricing e le modalità d’offerta. Occorre una maggiore indipendenza delle società prodotto rispetto ai gruppi bancari ed in generale alle strutture distributive, anche al fine di competere con maggiore efficacia con i grandi gruppi internazionali del risparmio gestito».
VECCHIE ANOMALIE E NUOVE SFIDE. Qualche problema, come quello annoso della tassazione anomala, è stato superato. «Si è eliminato – afferma Scolari – un meccanismo di applicazione della tassazione che sfavoriva prodotti di diritto italiani sul nostro stesso mercato. Il livellamento del campo di gioco era necessario per consentire ai gestori domestici una competizione ad armi pari con i competitors internazionali». Ma quali sono stati gli effetti sull’industria? «Per quanto riguarda i nostri servizi non abbiamo notato effetti in termini di spostamenti tra Sicav e fondi comuni – dice Benini – Più evidente è stato tutto sommato l’impatto sulle operazioni di conversione cui ora deve essere applicata la fiscalità, ma questo tocca tutti i prodotti gestiti. La fiscalità non dovrebbe mai avere effetti distorcenti sul mercato e, in questo senso, stiamo parlando di un provvedimento che ha ridotto un potenziale problema, la differenza tra fondi e Sicav, introducendone uno nuovo, la difficoltà di effettuare operazioni di conversione tra comparti nella distribuzione diretta». E intanto si continua a parlare di un Albo dei consulenti che dovrebbe offrire nuova linfa vitale al risparmio gestito, ma che è allo stesso tempo temuto e sempre differito.
«La normativa relativa all’Albo dei Consulenti è stata completata nel corso del 2012 – dice Scolari – Si attende ora il via libera da parte del ministero dell’Economia con la nomina dei membri del Comitato di Gestione. Forse si vedrà un periodo transitorio nel quale la Consob svolgerà il ruolo di incubatore e curerà la partenza dell’Albo. Al di là delle soluzioni tecniche, è importante che i consulenti finanziari possano svolgere la propria attività in un contesto di trasparenza e regolamentato».
Nel Regno Unito ci sono recenti stime che prospettano la fuoriuscita dal mercato di un numero molto elevato di consulenti indipendenti a causa dell’abolizione degli inducements e di altri aspetti normativi legati alla nuova figura professionale. «Non sappiamo se ciò avverrà anche in Italia – conclude Benini – crediamo tuttavia che si stiano creando false aspettative. I requisiti patrimoniali e organizzativi per svolgere la professione non sono raggiungibili facilmente da chiunque. Per l’accesso alla professione, poi, consideriamo anche che operiamo in un ambito la cui complessità aumenta con impressionante rapidità. La consulenza si può rivelare una opportunità per risparmiatori e consulenti ma può essere un rischio per tutti se non si divulgano consapevolezza e cultura finanziaria. In questo momento le iniziative, dove ci sono, non sono sempre valide».