Di Angelo De Mattia
Mancano poche settimane al decollo dell’Ivass, l’authority di controllo sulle assicurazioni, sotto la sovrintendenza del direttorio della Banca d’Italia. Qualche giornale, in relazione all’annuncio dato dalla Banca di prevenire ogni potenziale conflitto di interesse trovando una coerente collocazione alla partecipazione del 4,5% nelle Generali, ha avanzato l’ipotesi del ricorso non a un fondo cieco, ma alla Cassa Depositi e Prestiti, alla quale verosimilmente verrebbe conferita la gestione della partecipazione, senza precisare però vincoli e limiti. Tuttavia, la scelta, se fosse fondata la notizia, non sarebbe fuori luogo. Non bisogna dimenticare, però, che la Cdp si configura come un intermediario finanziario ex artt. 107 e 108 del Testo unico bancario e, come tale, è sottoposta alla vigilanza della Banca d’Italia, a prescindere dal fatto che, per il tipo di funzione e di operatività, la Cdp integrerebbe il modello di un vero e proprio istituto di credito. Allora, occorrerebbe ricercare la via perché il potenziale conflitto non si riproponga. Per esempio, le partecipazioni della Cdp sono allocabili in forma autonoma rispetto alla figura di intermediario finanziario? Più in generale, sono perseguibili altre soluzioni? Del tutto fuori luogo appare, invece, quel che un giornale scrive circa il fatto che, con la scelta della Cassa, si darebbe un ruolo alle Fondazioni che partecipano a quest’ultima e che potrebbero intervenire anche nell’attuazione della legge 262 del 2005, che intende nazionalizzare il capitale della Banca d’Italia. In effetti, è una legge da abrogare e che, comunque, prevede il passaggio delle quote del suddetto capitale allo Stato o a enti pubblici. Si tratta, però, di questioni che non possono che rimanere separate e distinte. (riproduzione riservata)