Assetti proprietari altamente concentrati, patti di sindacato con un ruolo centrale e investitori istituzionali con quote rilevanti in crescita. Sono questi alcuni degli aspetti che emergono dal primo Rapporto sulla corporate governance pubblicato ieri da Consob, che ha così scattato una fotografia alle società quotate a Piazza Affari. Tra i dati principali, quello che sul mercato italiano, su un totale di 257 aziende passate in rassegna, al 30 giugno scorso risultavano 125 quelle controllate di diritto (ossia con oltre il 50% dei diritti di voto), 51 quelle di fatto e 45 quelle regolate da un patto di sindacato. Si tratta di dati che risultano non molto diversi da quelli al 31 dicembre del 2011, quando i numeri erano rispettivamente di 123, 52 e 48; tuttavia, il confronto assume rilevanza laddove si prenda in considerazione il 1998 – primo anno analizzato dalla Commissione guidata da Giuseppe Vegas – quando le società controllate di diritto erano 122, quelle di fatto 34 e quelle regolate da un patto appena 28.
Rispetto al 2011, aumenta, la concentrazione proprietaria delle quotate nostrane, con il primo socio che, stando alla media ponderata, al 30 giugno scorso aveva in mano una quota del 35,1%, contro il 33,9% del 2011, il 27% del 2009 e il 33,7% del 1998. Il rapporto della Consob mette poi in evidenza l’aumento degli investitori istituzionali esteri con presenza rilevante nel capitale delle quotate italiane, a dimostrare che nonostante la crisi le aziende del Belpaese hanno seguitato ad attrarre capitali. Nel dettaglio, nel 2012 la quota media degli investitori istituzionali esteri rilevanti (ossia con quote oltre la barriera del 2%) è passata al 6,8% dal 6,2% del 2011 e dal 6,6% del 2008. In leggero aumento anche la quota media di quelli isituzionali italiani rilevanti, cresciuti al 5,1% dal 4,9% del 2011, mentre la percentuale del 2008 risultava più marcata (5,7 per cento). Il Rapporto di Consob ha poi concentrato l’attenzione sugli organi di amministrazione, rilevando che il numero medio di componenti dei cda è passato dai 10 del 2010 ai 10,2 del 2011, mentre per i consigli di sorveglianza si è passati da 13 a 14,3 membri.
Resta invece bassa la quota di amministratori espressi dalle minoranze rispetto al totale: soltanto 96 società su 261 a fine 2011 avevano almeno un consigliere di questo tipo.