Giovanni Pons
L’ assetto del capitalismo italiano è in continuo movimento e in questa stagione preelettorale i grandi gestori del potere e dei gangli finanziari del paese cercano di muovere le proprie pedine in vista di futuri nuovi assetti. Emblematico a questo riguardo è ciò che sta accadendo intorno all’azionariato di Generali, considerata la grande cassaforte d’Italia, l’unica entità dotata di una potenza di fuoco in grado di far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra. Ora, sull’assetto di controllo di Generali pesano diversi fattori che sembrano evolvere quasi contemporaneamente. Il primo elemento riguarda il socio storico di riferimento, cioè Mediobanca, titolare di una quota pari al 13,4%. Il nuovo piano industriale di questa istituzione, che l’amministratore delegato Alberto Nagel sta preparando e le cui linee complessive sono già state presentate al cda, sembra prevedere che nel corso del prossimo triennio quella quota del 13,4% in Generali possa progressivamente scendere intorno al 10%. Dunque si renderà disponibile un pacchetto azionario di oltre il 3% del Leone di Trieste la cui destinazione finale è tutta da costruire. Secondo elemento: il gruppo assicurativo Fonsai deve dismettere entro fine 2012, cioè tra non più di un mese, l’1% che da tempo detiene in Generali. L’amministratore delegato del gruppo Unipol, Carlo Cimbri – diventato attraverso Premafin l’azionista di maggioranza di Fonsai – ha dichiarato qualche giorno fa che la cessione del pacchetto sarà compiuta anche perché su quella quota insisteva un obbligo dell’Antitrust che risaliva al maggio 2011. Sul collocamento finale di questo 1%, del valore di Borsa di circa 200 milioni a cui sta lavorando Bnp Paribas si può solo dire che difficilmente finirà in mani non amiche di Mediobanca, il grande sponsor di tutta l’operazione di conquista di Fonsai da parte di Unipol. Terzo elemento: la Banca d’Italia, il cui fondo pensione è titolare di un 4,4% di Generali, dovrà presto posizionare questa quota in una sorta di blind trust dal momento che da gennaio 2013, assorbendo l’Isvap, diventerà di fatto l’istituto di vigilanza anche sul mercato assicurativo. La quota della Banca d’Italia in Generali è sempre stata considerata come un baluardo contro eventuali scalate dall’estero, una sorta di golden share di fatto per la più grande compagnia assicurativa del paese. Da gennaio questo baluardo potrebbe essere più fragile di quanto non lo fosse in precedenza. Quarta considerazione: la cruenta battaglia per l’estromissione dei Ligresti dal salotto buono della finanza ha dovuto registrare come corollario l’incrinazione dei rapporti tra la Fondazione Crt – da molto tempo nell’orbita del vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona – e la compagine dei veneti guidati dalla Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo. La Crt e Palenzona si sono infatti schierati massicciamente al fianco di Mediobanca e Unipol mentre Meneguzzo insieme al fondo Sator di Matteo Arpe ha tentato inutilmente di offrire una soluzione alternativa al destino di Fonsai. Rapporti difiicili che ora si riflettono nella Effeti, la scatola dove la Crt insieme alla Ferak (finanziaria in cui sono presenti oltre a Palladio anche Veneto Banca e la famiglia Amenduni) ha racchiuso tre anni fa il 2,2% di azioni Generali che l’Unicredit aveva messo in vendita. La Ferak dal canto suo aveva già acquistato da vari imprenditori un altro 1% di Generali. Dunque esiste almeno un 3,3% di azioni del Leone di Trieste che appartiene a soci non più in sintonia tra di loro e che potrebbe prima o poi prendere destinazioni diverse. Il problema è che questi pacchetti sono in carico a valori nettamente più alti di quelli di Borsa, in media a 18 euro contro 12,6 dell’attuale quotazione di Piazza Affari e dunque un’eventuale vendita viene frenata dalla potenziale minusvalenza che si verrebbe a creare nei bilanci delle istituzioni interessate. Da quel che si è potuto apprendere alcuni soci di Ferak, come gli Amenduni ma anche Veneto Banca, non considerano più così strategica quella partecipazione e, al prezzo giusto, sarebbero disposti a smobilizzarla. Diverso il discorso per Palladio, l’unica che ha già svalutato la quota sul proprio bilancio, e che è aperta a tutte le possibilità, anche quella di incrementare la propria posizione. Dietro la Crt si intravede poi l’ombra di Francesco Gaetano Caltagirone, forte di un’alleanza con Palenzona che l’ha portato a spostarsi da Mps a Unicredit, già azionista importante di Generali con il 2,2% rastrellato sul mercato. Tuttavia, essendo molto attento al suo valore di carico difficilmente Caltagirone sarà disposto a pagare nuove azioni a valori superiori a quelli di Borsa. Inoltre, gli incontri che si stanno svolgendo in questi giorni tra i vari protagonisti della vicenda sono volti anche a capire un ulteriore elemento. Il rappresentante di Effeti nel consiglio Generali è a tutt’oggi Angelo Miglietta, un uomo indicato dalla Fondazione Crt. L’accordo verbale tra gli azionisti era di coprire un triennio a testa, dunque al prossimo giro, cioè all’assemblea di aprile, toccherebbe alla componente Ferak-Palladio scegliere il rappresentate in cda. Ma visti gli attriti non ancora sanati con Mediobanca vi è anche il rischio che quest’ultima, nel compilare la prossima lista di consiglieri in qualità di socio di riferimento di Generali, possa escludere la possibilità per il socio di minoranza Effeti- Ferak-Palladio di avere un uomo di loro espressione in consiglio. E questo fatto, ove si verificasse, aumenterebbe la voglia per la componente veneta o di ritirarsi dall’azionariato del Leone o di dar battaglia incrementando le posizioni. In questo quadro così frastagliato, con un 7-8% di azioni Generali potenzialmente o effettivamente in vendita, si stanno muovendo a passi felpati e dietro le quinte gli uomini di riferimento del mondo Intesa Sanpaolo, cioè il presidente Giovanni Bazoli, l’amministratore delegato Enrico Cucchiani e il dominus della Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti. È noto, anche per essere stato scritto più volte, che Bazoli ha mal sopportato l’uscita di Intesa dall’azionariato di Mediobanca imposta da Enrico Cuccia quando alla fine degli anni ’90 consegnò la Banca Commerciale nelle mani di Intesa. La speranza di Bazoli di rientrare prima o poi nel gioco della galassia Mediobanca-Generali è forte, anche perché la compagnia triestina con un 4% è ancora uno dei principali soci della stessa Intesa Sanpaolo e quest’ultima, a sua volta, insieme alla Cariplo controlla il 3,2% della compagnia in un classico incrocio all’italiana nel quale blindare Mediobanca e Generali alla fine significa blindare sé stessi. Lo stesso sentimento ispira le mosse di Guzzetti. Il ballon d’essai di qualche settimana fa su una possibile fusione Unicredit-Intesa Sanpaolo è sembrato più che altro un modo per tastare il campo a un rientro in grande stile della banca milanese nella filiera di potere che conduce a Generali. Le prossime mosse, però, sono tutte da vedere e da studiare. Al momento sembra accantonato il progetto di un intervento di Intesa o del mondo delle fondazioni vicine a Guzzetti nell’azionariato di Mediobanca. L’operazione è stata studiata l’estate scorsa quando il titolo di piazzetta Cuccia era sceso ai minimi storici e il management stava scontando la brutta figura dell’avviso di garanzia a Nagel per il “papello” firmato ai Ligresti. Vicenda peraltro non ancora conclusa. Più probabilmente il mondo Intesa sta verificando la possibilità di affiancarsi a Mediobanca nella veste
di azionista di riferimento di Generali, valutando la possibilità di rilevare o far rilevare a investitori a lei vicini i pacchetti di azioni del Leone in vendita. I passato il cavallo era stato Romain Zalesky il cavallo utilizzato per raccogliere lo 0,7% di Generali che la Tassara conserva ancora nel suo portafoglio. E se si guarda in prospettiva, un blocco Mediobanca-Intesa intorno al 20% del Leone a cui si aggiungessero gli altri soci privati già presenti nel libro soci come Caltagirone, De Agostini, Del Vecchio, Benetton porterebbe il controllo della compagnia in prossimità di quel 30% ritenuto una soglia di sicurezza per la scalabilità di un’azienda delle dimensioni delle Generali. All’assemblea di aprile, quando è previsto il rinnovo dell’intero consiglio e la conferma di Mario Greco alla sua guida, si toccherà con mano se questo disegno ha cominciato a prendere forma oppure no. Più a breve sarà interessante vedere in quali mani finirà l’1% oggi in portafoglio a Fonsai e se Bazoli riuscirà ad anticipare le nomine ai vertici di Intesa Sanpaolo per poter giocare più in tranquillità la partita di Trieste. A sinistra, il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella L’Autorità ha aperto una istruttoria su Generali, Ina Assitalia (che fa parte del gruppo di Trieste), Unipol e Fonsai per intese restrittive della concorrenza