di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Chi è precario da giovane rischia di esserlo anche nella terza età. Molte interruzioni di carriera o un ingresso a singhiozzo nel mondo del lavoro hanno un impatto sul quando e con quale assegno si andrà in pensione. Così, se il modello è quello della flexsecurity dei Paesi del Nord Europa, la flessibilità all’italiana per ora appare ben poco sicura. A tre mesi dall’approvazione della riforma Fornero sul mercato del lavoro ci sono ancora magre prospettive per i giovani laureati. Le rilevazioni condotte nel mese di settembre dall’Ufficio Studi Bachelor sono chiare: sul totale degli annunci di lavoro destinati a laureati, il 54% sono stage. Un accesso al lavoro pieno di ostacoli ha conseguenze anche sulla posizione previdenziale al momento dell’addio al lavoro. Per questa ragione MF-Milano Finanza ha chiesto alla società di consulenza indipendente Progetica di simulare alcune situazioni in cui un lavoratore deve fare i conti a fine carriera con buchi contributivi legati alla difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro. «Abbiamo simulato l’effetto di avere tre periodi di inattività di 12 mesi ciascuno nell’arco dei primi dieci anni di vita lavorativa », sottolinea Andrea Carbone di Progetica. «Tecnicamente abbiamo simulato l’impatto di un buco contributivo di un anno all’età di 25, 30 e 35 anni». Che cosa è emerso? «L’impatto è differente innanzitutto in funzione dell’età di inizio dell’attività contributiva. Per chi ha iniziato a 20 anni i buchi potrebbero creare un differimento nel momento del pensionamento. Tale spostamento potrebbe tuttavia avere effetti positivi sull’assegno pensionistico, in quanto per un 40enne o un 50enne l’impatto dei mancati contributi sarebbe più che compensato dalla maggiore età di pensionamento. Per chi avesse invece iniziato a 25 anni si avrebbe invece il solo impatto sull’assegno pensionistico, che potrebbe diminuire di circa il 4-5%». Per tutte le simulazioni si ipotizza continuità lavorativa negli altri periodi, fino all’età della pensione. «Avere difficoltà nei primi anni lavorativi è un tema che di per sé può porre difficoltà economiche ai giovani che devono gestire l’eventuale acquisto di una prima casa, un matrimonio o la nascita di un figlio», commenta Carbone. «Le simulazioni evidenziano che i buchi contributivi potranno avere anche un impatto sull’ammontare dell’assegno pensionistico: uno scenario a volte difficile da cogliere, in quanto riferito al futuro, ma che sollecita e necessita ulteriori riflessioni e consapevolezze su come gestire risorse e risparmi nell’arco della propria vita». La seconda simulazione si rivolge al mondo femminile e alla maternità in particolare. «In questo caso è stato stimato l’impatto della scelta di sospendere l’attività lavorativa per cinque anni dopo il primo anno di vita del figlio. Il primo anno può essere infatti generalmente coperto dal congedo parentale e dall’astensione facoltativa. Poiché l’età media della maternità in Italia è di circa 31 anni, l’interruzione lavorativa è stata pertanto simulata a partire dai 32 anni. Per le casistiche simulate si noterebbe un differimento dell’età di pensionamento sempre e solo per i casi di chi avesse iniziato a lavorare a 20 anni. In tali situazioni il differimento compenserebbe i buchi, con un possibile aumento dell’assegno pensionistico. Si tratta dello scambio tra tempo di vita e risorse economiche, tema tipico della pianificazione previdenziale. Per tutti gli altri casi simulati si avrebbero cali compresi tra il 10 e il 14%», afferma Carbone. «Le elaborazioni permettono di aggiungere un ulteriore elemento di riflessione per le madri e le famiglie che valutano i pro e i contro economici, in questo caso, di continuare a lavorare o di interrompere l’attività lavorativa per dedicarsi in prima persona a essi. Anche qui, sebbene le conseguenze sull’assegno pensionistico siano lontane nel tempo, meritano più di una riflessione. A poco meno di un anno dall’ultima riforma pensionistica appare sempre più evidente come, da diversi punti di vista, essere cittadini del 21esimo secolo comporti nuove responsabilità, nonché la necessità di informazioni necessarie a poter vivere con maggiore consapevolezza le varie fasi della propria vita». Una consapevolezza a cui sarebbe più facile arrivare disponendo di strumenti adeguati. «Più volte la Covip ha ricordato che la previdenza complementare trova un freno al suo decollo anche nella circostanza che il cittadino non conosce la stima del suo assegno pensionistico obbligatorio; un assegno che potrebbe risultare insufficiente a finanziare il proprio tenore di vita nella terza età», ricorda Antonio Finocchiaro, presidente di Covip. «In particolare, per quei lavoratori il cui percorso professionale è caratterizzato da numerose interruzioni del rapporto di impiego con conseguente contrazione dei versamenti contributivi. Più volte la Covip ha fatto presente che, a questo fine, è necessario disporre sia di informazioni personalizzate e analitiche sui contributi versati sia di simulazioni, sulla base di predeterminate ipotesi, della futura rendita pensionistica. È recente la notizia, fornita dal presidente dell’Inps, che, avendo messo a punto i necessari archivi, il maggior ente previdenziale italiano fornirà i dati indicati a partire dal prossimo gennaio». Certo, la riforma previdenziale ha cercato di mettere in sicurezza i conti dell’Inps, ma non sarà indolore per i 30-40enni. «Oltre all’adozione per tutti i lavoratori del metodo contributivo per il calcolo della pensione e ad altre misure di rilievo, la riforma ha rafforzato la correlazione tra età di pensionamento e aspettativa di vita», aggiunge Finocchiaro. «A parità di altre condizioni ciò comporta un aumento del periodo di contribuzione, con un duplice effetto sulla pensione: da un lato, positivo, per la crescita del montante contributivo dovuto all’allungamento della vita lavorativa; dall’altro, negativo, per effetto della periodica revisione dei coefficienti di trasformazione che dipendono dalla longevità stimata in aumento». Proprio l’allungamento della vita media della popolazione (si veda box in pagina) apre un altro problema, ossia quello di interventi sul mercato del lavoro volti a dare la possibilità di avere un impiego anche agli over 60. Il 10 ottobre Pietro Ichino ha presentato un disegno di legge alla presidenza del Senato volto a introdurre misure per favorire l’invecchiamento attivo, il pensionamento flessibile, l’occupazione degli anziani e dei giovani e per l’incremento della domanda di lavoro. In sintesi, Ichino propone l’introduzione della possibilità di riduzione dell’orario di lavoro dal tempo pieno al tempo parziale per i lavoratori nel quinquennio precedente al pensionamento, con agevolazione della copertura previdenziale per la parte che rimarrebbe altrimenti scoperta, di un incentivo all’assunzione di giovani in corrispondenza con la riduzione dell’orario dei lavoratori anziani. Ma anche della possibilità per i lavoratori over 60 di impegnarsi per servizi alla famiglia, alla persona o a una comunità locale, con un rapporto di lavoro estremamente flessibile e non soggetto agli standard rigidi di protezione caratteristici del lavoro subordinato. Nel disegno di legge si tratta anche il tema degli esodati non salvaguardati. Si prevede un incentivo all’assunzione con contratti di lavoro subordinato ordinario, costituito da uno sgravio contributivo
totale e dall’estensione a un anno del limite massimo di durata del periodo di prova e l’estensione di un congruo trattamento di disoccupazione. (riproduzione riservata)