Walter Galbiati
Milano S i vivrà più a lungo e si lavorerà di più. Da qui è partita l’ultima riforma, voluta dal governo Monti, per stabilizzare nel lungo periodo il sistema pensionistico italiano, gravato da una popolazione sempre più vecchia e da una spesa per le pensioni sempre più pesante. Il punto fermo è stata l’adozione, per tutti i lavoratori, del metodo contributivo, ma la riforma ha voluto anche rafforzare la correlazione fra età di pensionamento e aspettativa di vita. Va da sé che, se si lavora di più, aumenta il periodo di contribuzione. E, secondo gli esperti, ciò produrrà due effetti, uno positivo e l’altro negativo. Il primo è la crescita del montante contributivo, ovvero si verseranno più contributi e, per il calcolo della rata finale, più si versa meglio. Il secondo è la revisione dei coefficienti di trasformazione (il metodo di calcolo che trasforma l’ultimo stipendio nel primo assegno della pensione), i quali, allungandosi le aspettative di vita, saranno peggiori. A conti fatti, tuttavia, il saldo dovrebbe essere comunque positivo e il sistema dovrebbe migliorare in termini di adeguatezza ed equità intergenerazionale. Il risultato sarà una rata pensionistica annuale meno esigua di quanto si poteva prevedere. Un piccolo vantaggio che ha fatto subito nascere una corrente di pensiero secondo la quale, dopo la riforma di fine 2011 il tasso di sostituzione generato dal primo pilastro sarebbe sufficiente
a garantire l’adeguatezza dei trattamenti ai bisogni dei futuri pensionati, rendendo di fatto superfluo, oltreché «costoso» per il Paese, lo sviluppo di un sistema di previdenza complementare. Non tutti però concordano con questa visione. «Potrebbe essere un ragionamento valido solo nel breve periodo, ma non con un ottica di lungo periodo che è quella propria di chi aderisce a un fondo pensione», afferma, Sergio Paci, ordinario di economia degli intermediari finanziari della università Bocconi di Milano. «La riforma Fornero ha reso più stabile il primo pilastro, garantendo una maggiore sostenibilità nel lungo periodo. Le novità introdotte, tuttavia, non mettono in discussione la giusta scelta di un sistema multipilastro », sostiene Mauro Marè, presidente del Mefop, ente che si occupa dello Sviluppo del mercato dei fondi pensione. «Per un verso – aggiunge – è vero che si lavora tendenzialmente un po’ più a lungo, però l’incremento del tasso di sostituzione finale è mitigato dalla revisione periodica dei coefficienti. Le stime dimostrano che vi è ancora necessità di dotarsi di un secondo pilastro previdenziale per integrare la pensione». Dello stesso avviso è il presidente della Covip, Antonio Finocchiaro, intervenuto sul tema a un recente convegno di Assoreti, secondo il quale, nonostante i correttivi inseriti con la Riforma Fornero, «le pensioni di primo pilastro destinate alle nuove generazioni, interamente calcolate col metodo contributivo, saranno certamente meno generose, in alcuni casi in misura significativa, rispetto a quelle di cui hanno potuto usufruire le generazioni precedenti». Il sistema che si appoggia su più pilastri, invece, offrirebbe anche altri vantaggi. «Ritengo che il sistema multi pilastro, per altro adottato nella maggioranza dei Paesi nel mondo, anche se ci sono alcune interessanti esperienze di mono pilastro in America Latina, sia ancora il sistema più adatto. Affiancare alla previdenza pubblica quella integrativa può permettere a chi sceglie questa strada di arrivare alla pensione in condizioni simili a quelle delle generazioni precedenti, pur con la revisione dei coefficienti», sostiene Paolo Fumagalli, docente a contratto di «Fondi pensione e previdenza complementare» presso la facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica. Vi è poi un altro vantaggio nell’avere due pilastri, a detta soprattutto degli esperti di finanza. «A fianco del primo pilastro, la previdenza complementare deve continuare anche in un ottica di diversificazione, proprio come avviene per gli investimenti, in modo da essere posizionati meglio di fronte ai vari cambiamenti di scenario. E bisogna iniziare presto, in giovane età, perché gli interessi composti alla fine sono in grado di garantire un buon capitale », afferma Paci della Bocconi. Eppure, nonostante i continui richiami, al 31 agosto di quest’anno, solo un lavoratore su quattro aveva ritenuto necessario aderire a una forma di previdenza complementare. Per di più, la partecipazione dei giovani è ancor più limitata. «Occorre innanzitutto ripartire all’informazione per fare emergere il bisogno previdenziale. Senza un’adeguata informazione sui tassi di sostituzione che saranno offerti dal primo pilastro, difficilmente i lavoratori acquisiranno consapevolezza circa le loro necessità pensionistiche e, quindi, sull’opportunità offerta dall’adesione a un fondo pensione », sostiene Marè del Mefop, auspicando che sarebbe necessario anche investire sull’educazione finanziaria e previdenziale, attraverso campagne che partano dalle scuole e dai luoghi di lavoro. «Serve — aggiunge Fumagalli della Cattolica — anche una adeguata educazione finanziaria, sia dei giovani che dei meno giovani. Direi però, prima ancora che sulla previdenza integrativa, sulle differenti possibilità di risparmio. Nella attuale situazione economica, come chiedere alle persone di versare nella previdenza integrativa quando si arriva a fatica a fine mese? «Primum vivere deinde philosophari» diceva Aristotele. Pura verità! Ma sarebbe un grave errore (strategico si direbbe in azienda), non pensare e non pianificare, anche se oggi non fosse possibile aderire o continuare a versare nei Fondi Pensione per chi ha già aderito, il proprio risparmio previdenziale». Nonostante i continui richiami, al 31 agosto di quest’anno, solo un lavoratore su quattro aveva ritenuto necessario aderire a una forma di previdenza complementare. E la partecipazione dei giovani è ancor più limitata Mauro Marè (1) presidente Mefop Elsa Fornero (2) ministro del Welfare Secondo gli esperti la riforma produrrà la crescita del montante contributivo e la revisione dei coefficienti di trasformazione