di Ettore Pastore*
Se il settembre del 2012 sarà ricordato come una tappa fondamentale nel percorso di uscita dalla crisi finanziaria che sta ancora investendo il mondo, ottobre non sembra da meno, essendosi aperto con la presentazione del rapporto Liikanen, richiesto dal commissario Barnier, che suggerisce, fra le altre cose, la separazione delle attività di trading all’interno dei gruppi bancari europei, per garantire una gestione più sicura rispetto al passato. Ma, per riuscire a raccogliere questi benefici, le istituzioni finanziarie devono trasformare radicalmente il loro modello di business, adattandolo al nuovo scenario, profondamente cambiato per una serie di ragioni strutturali, indotte non solo da fattori regolamentari. Il costo del capitale è stabilmente più alto; la strategia di deleveraging che ne consegue è sempre più diffusamente perseguita (Citigroup per esempio ha venduto asset per 600 miliardi di dollari negli ultimi anni). Le esigenze dei clienti nei confronti di banche e assicurazioni si sono evolute in termini di prodotti e soprattutto di canali distributivi, che devono garantire una maggiore osmosi tra di loro, da un lato, e un maggiore contenuto di consulenza, dall’altro. Infine, le aspettative del mercato in termini di livello di servizio e trasparenza sono sempre più elevate e destinate a crescere. Ma come hanno reagito finora i diversi segmenti del comparto finanziario europeo? Mentre l’investment banking è stato il primo a essere interessato dai cambiamenti, imposti soprattutto dalle nuove normative e dalla crisi economica, e ha di conseguenza modificato strategie e ambizioni di crescita, il business della banca al dettaglio e il comparto assicurativo, più corposi e complessi, devono ancora trovare ancora la giusta strada per tornare ai livelli pre-crisi. La revisione dei loro modelli di business passa attraverso: a) una rigorosa strategia di concentrazione sul core business, con l’uscita dalle attività non più sostenibili; b) una revisione strutturale della struttura dei costi (più importante degli interventi sui soli ricavi), rivedendo soprattutto i canali distributivi; c) l’investimento in nuove tecnologie per rendere più facile acquisire clientela aggiuntiva; d) l’apertura a nuove alleanze strategiche, anche con gruppi concorrenti, per condividere gli investimenti in tecnologia (si pensi a Lodestone, annunciata da Deutsche Bank per condividere con altri operatori un software sul mercato finanziario diminuendone i costi di sviluppo), ma anche per far crescere più velocemente nuove aree di business (per esempio, il mobile banking) o per gestire in modo congiunto attività creditizie per le aziende tra gruppi bancari e assicurativi (come la recente alleanza in Francia tra Axa e SocGen). La realizzazione di tutto ciò è molto complessa: richiede capacità di visione e trasformazione, in un tempo relativamente breve. I leader più forti dovranno riuscire a prevedere e a gestire i cambiamenti prima di tutti. La tecnologia in tale contesto aiuta in modo sostanziale, ma occorrerà riqualificare profondamente le risorse umane. È quella la leva strategica necessaria a realizzare i profondi cambiamenti che attendono le istituzioni finanziarie del domani. (riproduzione riservata) *partner, At Kearney