di Valentina Porciani CLASS CNBC
Il Solvency II, ossia la normativa che vuole introdurre nel mondo assicurativo i requisiti di maggiore patrimonializzazione delle compagnie, è un aspetto molto importante che porterà sicuramente più efficienza nel settore assicurativo. Lo ha affermato Sergio Balbinot, amministratore delegato del Gruppo Generali e dal 2001 presidente di Insurance Europe, la Federazione europea degli assicuratori e riassicuratori 8 (l’Ania continentale, per intenderci), in un’intervista rilasciata in occasione dell’Insurance Day 2012 organizzato da Mf-Milano Finanza (quotidiano del gruppo Class Editori, che controlla Class Cnbc) e da Accenture. Domanda. L’entrata in vigore di Solvency II, la normativa che si propone di rafforzare il patrimonio delle compagnie assicurative, continua a slittare. Quali sono secondo lei i motivi alla base di questo ritardo? Risposta: Solvency II è sicuramente un tema molto importante, ma altrettanto complesso. Quando si parla dello slittamento di Solvency, penso sia importante fare una premessa: il settore assicurativo ha detto sì a Solvency, nonostante alcune caratteristiche non rispondessero esattamente alle nostre esigenze. Una fra tutte è quella del cosiddetto Group Support, ovvero la possibilità di ottenere maggiore sinergia nella gestione del capitale. Però le compagnie hanno detto sì perché ritengono che sia un sistema basato innanzitutto sul controllo del rischio. Infatti è definito «Risk-based». Una maggiore rischiosità, non solo del business assicurativo ma anche della gestione finanziaria, richiede più capitale. Quindi è un sistema che sicuramente incentiva a migliorare il risk management, dando più protezione all’assicurato e anche più efficienza al settore. D. E allora come si spiega il ritardo nella sua adozione? R. Solvency II è un sistema «market consistent», cioè coerente con i valori di mercato, e sappiamo che questo ha sì dei vantaggi in termini di trasparenza, e anche di confrontabilità, ma presenta anche delle problematiche. Prima fra tutte quella della volatilità. Io penso che all’epoca nessuno poteva immaginare quelli che potevano essere gli effetti indesiderati di un alto livello di volatilità come quello che abbiamo vissuto in questi ultimi mesi. È normale che un nuovo sistema non sia perfetto sin dal debutto, e che quindi ci sia bisogno di un «fine tuning» nel tempo, però io ho spesso fatto presente alla Commissione Ue e al Parlamento europeo che alcuni aspetti molto importanti vanno chiariti bene sin dal primo momento, altrimenti è veramente difficile metterli a punto in corso d’opera. E uno di questi è proprio la volatilità. D. Ma perché quest’ultima è oggi tra gli argomenti più dibattuti ai fini dell’entrata in vigore della normativa? R. La volatilità non riflette le caratteristiche del business Vita, tipicamente di lungo periodo, e i cui flussi di cassa presentano un profilo abbastanza regolare. Lo vediamo nella stessa Italia: nonostante la forte crisi di questi ultimi anni, non abbiamo avuto outflow particolarmente elevati. Queste passività di lungo periodo non sono normalmente confrontate con attività di scadenza paragonabile, normalmente detenute fino a scadenza. Allora se la logica è quella del «matching», cioè quella di tenere gli asset fino alla scadenza, la presenza di fasi temporanee di volatilità interessa fino a un certo punto. Quindi se la direttiva Solvency II non considera tale elemento, si rischia una misura del rischio che evidenzia una volatilità «artificiale» e che quindi impone maggiori dotazioni di capitale, con effetti ovviamente indesiderati perché comporta politiche di investimento «pro cicliche». In altri termini, difficilmente le compagnie investirebbero in titoli che offrono uno spread rispetto alla curva dei tassi di riferimento. D. Si avrebbe un effetto anche sui rendimenti dei prodotti? R. Inevitabilmente. Il maggior costo del capitale verrebbe trasferito su prodotti assicurativi oggi molto appetibili per la clientela. Le polizze a capitale garantito sono molto richieste dalla clientela, sia italiana che europea. Ma è concreto il rischio di aumentarne il costo. E c’è anche un altro pericolo da non sottovalutare. Dei 7.700 miliardi che il settore assicurativo investe nell’economia, una buona parte sono riserve accumulate proprio a fronte di questi prodotti. Quindi sorgerebbe un problema di finanziamento dell’economia in generale. In questa sua veste il mercato assicurativo è un finanziatore stabile, non un «forthseller » come spesso viene definito, perché anche nei momenti di volatilità le compagnie tendono a mantenere i titoli in portafoglio. D. Quali modifiche a Solvency II chiedono le compagnie europee per mitigare gli effetti della volatilità? R. Quello che noi chiediamo sono delle misure anticicliche che permettano di ridurre la volatilità. Il tema ovviamente non riguarda gli asset, valutati secondo il mercato, bensì le passività dove in questo momento il punto di riferimento è la curva dei tassi swap, come noi tutti assicuratori sappiamo. Chiediamo sostanzialmente due cose: la prima è il Counter Cyclical Premium. Abbiamo chiesto cioè che, nei momenti in cui il mercato è particolarmente stressato, si possa ottenere una maggiorazione dei tassi a cui sono scontate le nostre passività. In sostanza un premio sulla liquidità, che riflette una situazione di mercato particolarmente complessa. Questo concetto è stato accettato dal punto di vista concettuale, sia dal Parlamento che dalla Commissione. Il problema è soprattutto la sua concreta realizzazione, nel senso che il settore assicurativo vuole avere chiarezza su quando viene applicato questo premio. Quindi vogliamo che siano molto chiari sia i parametri in base ai quali si stabilisce che il mercato è stressato, rendendo quindi applicabile il premio, sia la formula con cui si determina questo aggiustamento rispetto al tasso swap. Qui invece la Commissione vorrebbe lasciare più libertà all’Eiopa (l’Authority europea sulle assicurazioni, ndr) di definire il momento in cui il mercato è effettivamente stressato e di definire la formula. D. L’altro tema importante? R. È quello del «matching adjustment». Qui il discorso è diverso: su alcuni prodotti gli asset sono strettamente commisurati alle passività, per cui più che la curva dei tassi swap il punto di riferimento dovrebbe essere una curva dei rendimenti che tenga conto anche del rendimento degli attivi mantenuti a fronte di questi prodotti. Anche qui concettualmente siamo in linea con la Commissione, che ha compreso il problema ma che, con un atteggiamento più rigido, la accetterebbe solo su alcuni prodotti, come certe polizze commercializzate nel regno Unito o in Spagna. Noi vorremmo aumentare, allargare lo spettro per farvi rientrare anche polizze tipicamente ditribuite in Italia. Questi sono i due temi al momento oggetto di discussione in sede europea. D. Quindi a questo punto quando pensa che entrerà in vigore Solvency II? R. Difficile dare una data precisa. Gli ultimi colloqui tra Consiglio, Commissione e Parlamento non hanno portato nessun risultato positivo. Forse l’unica cosa interessante uscita è che tutte le tre istituzioni hanno deciso di dare all’Eiopa il compito di fare un’analisi dell’impatto sul settore assicurativo, nel quale verranno appunto considerati anche gli effetti delle due misure di cui accennavo prima. Questa analisi dovrebbe partire a ottobre, e tra gennaio e marzo dovremmo vederne i risultati. Dopo di che bisognerà capire se questi ultimi saranno tenuti in considerazione su
l livello 2 o direttamente sulla direttiva. Quindi è difficile dire quando entrerà in vigore Solvency II. So che la Commissione spinge molto perché i tempi siano rispettati: noi abbiamo un atteggiamento di completa apertura, non vogliamo rallentare, però quello che vogliamo è che Solvency parta con il piede giusto, soprattutto su tematiche importanti come quelle appena illustrate e altre tematiche ancora aperte. (riproduzione riservata)