di Antonio Satta
Basta con gli appelli e le proteste. Ora si fa sul serio. È partito lo scontro finale contro le tre sorelle del rating. L’obiettivo al quale lavorano le banche italiane è eliminare ogni riferimento ai giudizi delle società di rating dai contratti standard e dalle linee guida che le istituzioni finanziarie devono seguire, tipo i requisiti patrimoniali discendenti dai vari accordi di Basilea. In queste settimane, infatti, l’Abi sta concordando le mosse con vari soggetti interessati alla questione, compresi la Consob e l’Atic-Forex, l’associazione che raggruppa gli operatori del mercato finanziario. E le prospettive, a sentire un importante banchiere milanese molto attivo nelle associazioni di categoria, sembrano molto interessanti. Nel maggio scorso, come si ricorderà, Moody’s tagliò la valutazione di 26 banche italiane (per dieci di esse la sforbiciata fu di un solo notch, per otto il downgrading fu di due gradini, per sei di tre e per due addirittura di quattro). Fu a quel punto che il presidente Giuseppe Mussari decise di rompere gli indugi, lanciando un appello alla Bce e alle istituzioni europee perché non tenessero più conto dei giudizi delle agenzie di rating. Lo smacco, del resto, era stato troppo forte. La crisi europea, infatti, ha prodotto un risultato paradossale: le banche italiane, tra le più patrimonializzate nel continente e tra le poche a non aver dovuto chiedere aiuti di Stato durante la tempesta subprime, sono state prima costrette a onerose misure di patrimonializzazione per le regole di Basilea (dovendo peraltro svalutare mark to market la forte componente di titoli di stato italiani in portafoglio) e poi sono state colpite dalle ripetute revisioni del rating da parte di Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch, come effetto collaterale del mutato giudizio sulle prospettive del debito pubblico italiano. E il taglio del rating per le banche non è solo un problema d’immagine, ma un danno economico reale. A causa degli automatismi un voto troppo basso aumenta i costi di finanziamento e determina uno svantaggio competitivo sui mercati internazionali. La situazione che si è fatta insostenibile con l’ultima raffica di downgrading e così il 25 maggio scorso l’Abi ha scritto a tutte le autorità italiane ed europee, chiedendo la revisione delle varie disposizioni già emanate, per cancellare gli automatismi collegati al rating nella valutazione della stabilità e del merito creditizio delle banche e degli altri intermediari finanziari. Le risposte sono arrivate prima della pausa estiva e se l’Esma (European securities and markets authority) non si è sbilanciata molto, ben più significativa è stata la replica dell’Eba (European banking authority). L’autorità di settore, infatti, ha riconosciuto che c’è un «eccessivo utilizzo da parte di financial regulator and policy makers dei rating esterni assegnati dalle tre principali agenzie di rating private». Non solo; la stessa Eba ha annunciato che è in corso un confronto con le altre autorità europee per ridurre il ricorso ai rating esterni. Una affermazione in linea con la tesi del presidente della Bce, Mario Draghi, secondo il quale «bisognerebbe imparare a vivere senza le agenzie di rating o quantomeno imparare a fare meno affidamento sui loro giudizi». Tesi peraltro sostenuta in una circostanza cruciale, come l’incontro, avvenuto il 24 gennaio 2011, con il pm della Procura di Trani, Michele Ruggiero, il magistrato che ha chiesto il rinvio a giudizio di Moody’s (e anche delle altre agenzie di rating). Ascoltato come persona informata sui fatti, Draghi nella sua veste di governatore della Banca d’Italia e di presidente del Financial stability forum sentenziò: «La reputazione delle agenzie di rating è stata completamente discreditata dall’esperienza del 2007-2008». Aggiungendo poi che una delle indicazioni del Fsb «è trovare il modo per cui sia gli investitori sia i regolatori potranno fare a meno, o comunque potranno avere meno bisogno delle agenzie di rating e dei loro giudizi». Conclusione: «La gente continua a usare questi rating perché non ha niente di meglio, purtroppo sono altamente carenti, qui bisogna trovare un modo per farne a meno o farne meno uso». E ora che Draghi da Via Nazionale si è trasferito all’Eurotower di Francoforte sembra giunto il momento di cambiare registro. Tra l’altro l’indagine di Trani è stata seguita con molta attenzione dall’Abi nei mesi scorsi. Il procedimento ha preso le mosse dall’esposto del senatore dell’Idv, Elio Lannutti, che raccolse in qualità di presidente dell’Adusbef l’invito a promuovere una class action contro Moody’s lanciato da questo giornale (il motivo era l’ingiustificato allarme sulla tenute delle banche italiane, contenuto in un report diffuso a borse aperte il 6 maggio 2010, che causò un crollo verticale di Piazza Affari). Ebbene, l’impostazione dell’inchiesta, che ha portato come già detto alle richieste di rinvio a giudizio, è stata giudicata così solida dall’Abi da spingere l’associazione a chiedere un parere allo studio legale internazionale Hogan Lovells sulla possibilità di avviare azioni di responsabilità civile contro le società di rating per le conseguenze derivanti dai downgrade subiti dalle banche.