di Andrea Di Biase
Come era nelle attese della vigilia, il cda di Mediobanca, convocato per consentire all’amministratore delegato, Alberto Nagel, di fare il punto sull’operazione Unipol-FonSai e per chiarire il suo coinvolgimento nell’inchiesta avviata dalla Procura di Milano, si è svolto e concluso in maniera non traumatica per gli equilibri al vertice dell’istituto. Dopo circa tre ore di riunione, in cui Nagel ha ripercorso la genesi e l’evoluzione dell’integrazione tra Fondiaria-Sai e la compagnia assicurativa bolognese, nonché le origini del credito da circa 1 miliardo concesso alla compagnia dell’ex gruppo Ligresti, i consiglieri hanno espresso all’unanimità la propria fiducia nell’operato dell’amministratore delegato. E anche sulla vicenda giudiziaria, che vede Nagel indagato per ostacolo all’autorità di vigilanza per il presunto patto occulto legato alla sigla posta sul «papello» con i desiderata della famiglia Ligresti, i consiglieri non avrebbero chiesto ulteriori chiarimenti all’ad, nonostante alcune indiscrezioni, riportate dalla Reuters nella giornata di martedì e rilanciate ieri dal Corriere della Sera, lasciassero intendere che nella sua esposizione davanti al pm Luigi Orsi, il numero uno di Piazzetta Cuccia avrebbe indicato in Cesare Geronzi, Alessandro Profumo e in Vincent Bolloré i reali referenti di Salvatore Ligresti nel patto di sindacato della banca d’affari. Tanto da provocare la reazione dell’ex presidente di Capitalia. «È fin troppo evidente che le dichiarazioni del dottor Nagel, riguardanti la mia persona, tendono, più che a descrivere la realtà dei fatti, a trovare una giustificazione al suo operato», ha fatto sapere Geronzi. «Per quanto riguarda il mio ruolo, che peraltro nulla ha a che vedere con la vicenda in cui il dottor Nagel è coinvolto», ha aggiunto il banchiere romano, «voglio ribadire che non ho mai interferito nella operatività dei manager che hanno curato la posizione della famiglia Ligresti». Dichiarazioni di fronte alle quali il vertice di Mediobanca ha cercato di gettare acqua sul fuoco, cercando di smorzare l’enfasi che la stampa ha dato alla ricostruzione dell’interrogatorio di Nagel. «L’operatività caratteristica di Mediobanca», hanno fatto sapere fonti vicine all’istituto, «è sempre stata svolta sotto l’esclusiva responsabilità del management, nel rispetto, beninteso, delle vigenti regole di corporate governance». Un tentativo di stemperare i toni che, almeno per ora, sembra aver avuto successo, considerato che nel corso della riunione i ieri i rappresentanti di Bolloré in cda (Tarak Ben Ammar e Vanessa Laberenne) non avrebbero polemizzato con Nagel, ma si sarebbero anzi schierati compatti con il resto del consiglio. Proprio Ben Ammar, lasciando Piazzetta Cuccia al termine della riunione, avrebbe messo una pietra sopra le voci circolate nel mese di agosto circa una presunta volontà dei grandi soci di procedere a una scissione tra l’attività bancaria e quella di holding di partecipazioni. «Non abbiamo mai discusso di uno split e non è all’ordine del giorno», ha detto il finanziere franco-tunisino al termine del cda. La ricerca di un nuovo assetto della banca più coerente con l’attuale situazione dei mercati è comunque all’attenzione del cda. Già nei mesi di giugno e luglio il consiglio sarebbe stato consultato sulla possibilità di procedere, con tempi e modi ancora da definire, a un alleggerimento dell’esposizione di Mediobanca verso le sue partecipazioni strategiche (Generali, Rcs e Telco). Una riflessione che si starebbe traducendo anche nell’avvio di un sondaggio tra alcuni investitori potenzialmente interessati a rilevare parte del 3% delle Generali che Mediobanca dovrebbe cedere per scendere attorno al 10%. Tra questi, secondo le indiscrezioni circolate ieri, potrebbe esserci anche il patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio. E sempre ieri ha fatto visita in Piazzetta Cuccia, Lorenzo Pellicioli, ad della De Agostini, altro importante azionista del Leone. «Il tema dei prossimi mesi sarà il riassetto della banca», ha spiegato un consigliere, «bisognerà capire dove andrà Mediobanca, perché è importante a livello nazionale, ma rispetto alle big internazionali non ha le stesse vie di accesso al funding. Bisognerà valutare, in quest’ottica, anche la collocazione delle partecipazioni ». (riproduzione riservata)