Pagine a cura DI SIBILLA DI PALMA
Neutralizzare ogni tipo di rischio che potrebbe ripercuotersi negativamente sui bilanci dell’azienda: questo il ruolo del risk manager, una fi gura che, complice la crisi, sta assumendo un’importanza sempre più strategica. Dopo il default del 2008, infatti, le imprese hanno compreso l’importanza di poter contare al proprio interno su un professionista capace di individuare, valutare e gestire le incognite come sistema virtuoso per preservare il valore dell’azienda e la sua capacità di operare in maniera profi ttevole. Chi è lo specialista del rischio. La gestione del rischio abbraccia diversi ambiti: esistono, infatti, risk manager industriali, ambientali, fi nanziari e sanitari. Professionisti che hanno il compito di monitorare, gestire e prevenire i rischi a cui possono essere esposte industrie, società di servizi e ospedali e che potrebbero arrecare gravi danni economici e di immagine all’impresa. In cui risulta fondamentale la capacità di operare a stretto contatto con i vari responsabili di divisione (dalla produzione al marketing, dalla logistica alle vendite) per identifi care le eventuali criticità. «Il risk manager è un facilitatore che aiuta le strutture aziendali nella gestione delle incognite utilizzando una metodologia di stampo anglosassone», spiega Adolfo Bertani, presidente di Cineas, consorzio universitario specializzato nella formazione e nello studio delle tematiche legate alla gestione del rischio in diversi settori. «Inizialmente questa fi gura nasce come responsabile delle assicurazioni aziendali, cioè come colui che si occupa dei rischi assicurabili; recentemente si è invece evoluta in un ruolo più ampio, ossia nel risk manager vero e proprio cui è affi data una fase di analisi, controllo e mitigamento delle incognite al servizio dell’impresa il cui mandato arriva direttamente dal board o dal cfo», sottolinea Paolo Rubini, presidente di Anra, l’Associazione nazionale risk manager. Nel dettaglio, il lavoro di questo specialista segue diverse fasi di azione: la prima consiste nell’identificazione dei rischi in cui vengono evidenziate le potenziali minacce, anche quelle poco visibili e con basse possibilità di realizzazione; la seconda riguarda, invece, la misurazione delle incognite, cioè la valutazione dell’impatto potenziale sull’impresa nel caso in cui un rischio si trasformi in evento negativo. Su queste basi vengono poi determinate le priorità di intervento, con particolare attenzione ai rischi con elevate probabilità di accadimento. Infi ne, l’ultima fase riguarda la gestione vera e propria dell’imprevisto in cui è possibile percorrere diverse strade: trasferimento a terzi attraverso, ad esempio, il ricorso a polizze assicurative; assunzione con interventi per ridurne la frequenza o la gravità; fi nanziamento attraverso forme varie di autoassicurazione oppure eliminazione del rischio, attraverso, ad esempio, la chiusura dell’attività pericolosa. Un settore in crescita. Una professione la cui diffusione è stata incentivata dalla crisi che ha portato le compagnie a una maggior consapevolezza circa l’esigenza di avere più competenze in questo settore, innalzando la soglia di attenzione nei confronti della previsione e riduzione delle incognite. «Per esempio nell’approccio verso nuovi mercati, ma anche nei rischi legati alle catastrofi naturali», specifica Rubini. Una figura in ascesa anche nel mondo fi nanziario, trainata dall’aumento dei rischi di mercato nelle banche e dalla modifi ca delle normative a livello internazionale e nazionale. «Alcuni grandi istituti di credito hanno introdotto, infatti, oltre al financial risk manager specializzato nella misurazione e nella gestione dei rischi finanziari, anche una nuova fi gura, il chief risk officer, incaricato sia della gestione delle incognite sia dell’organizzazione di specifiche divisioni aziendali», spiega Marco Berlanda, vicepresidente di Aifi rm (Associazione italiana fi nancial industry risk managers). «Anche per il futuro le prospettive di sviluppo sono ottime», prosegue Bertani, «sull’esempio del mercato del lavoro americano, dove l’informatica e la gestione dei rischi sono i due ambiti con maggiori prospettive occupazionali ». Anche se la strada da percorrere è ancora lunga: secondo un sondaggio condotto da Cineas, su un campione di 1.324 aziende con fatturati tra i 50 e i 250 milioni di euro, oltre l’80% degli imprenditori ritiene che i rischi siano oggettivamente aumentati rispetto al passato, ma solo il 46% ha deciso di affi dare le politiche di gestione del rischio a una divisione specializzata. Attualmente questi professionisti risultano concentrati soprattutto nelle imprese di grandi dimensioni e nelle banche, con il Nordest e il Sud in ritardo rispetto al Nordovest e al Centro. Ancora indietro risultano, inoltre, le pmi. «Si tratta di una fi gura spesso troppo costosa per le piccole e medie imprese», sottolinea Bertani. «Anche se il risk manager non deve essere necessariamente una fi gura full time; si potrebbe, infatti, formare un tecnico già interno all’azienda oppure ricorrere all’outsourcing». Retribuzioni più alte della media. Dal punto di vista retributivo chi svolge questo ruolo ha una busta paga più ricca della media, con un inquadramento che parte dalla funzione di quadro per arrivare al top management. «Con stipendi che partono in media dai 70-80 mila euro fi no a 150 mila euro all’anno», afferma Bertani. Nei grandi istituti di credito, invece, le retribuzioni oscillano «tra i 90 mila e i 200 mila euro all’anno per il financial risk manager», prosegue Berlanda, «mentre il chief risk offi cer è un top manager che può arrivare a guadagnare più di 200 mila euro». Intuito, riservatezza e capacità di analisi sono alcune delle competenze richieste. «Inoltre, il risk manager deve conoscere tutte le caratteristiche di ogni reparto aziendale per poter svolgere al meglio una professione trasversale e multifunzionale», specifi ca Rubini. L’approccio necessario è, infatti, multidisciplinare: lo specialista del rischio deve saper predisporre un piano strategico per la protezione dell’impresa, sia tramite interventi di carattere organizzativo o strutturale, sia attraverso le coperture assicurative trattando direttamente con le compagnie. Per svolgere la professione non esiste una laurea d’elezione. «Le competenze richieste sono molto varie e vanno dal possesso della metodologia di risk management, applicabile in tutte le aziende, alle competenze in campo giuridico, tecnico-ingegneristico e di comunicazione interna ed esterna, visto che questo professionista deve avere la capacità di vendere la propria posizione», aggiunge Bertani. Porte aperte, quindi, a ingegneri con specializzazione gestionale, laureati in economia aziendale, matematici e statistici soprattutto nelle banche e nelle società di consulenza. «Nonostante la figura del risk manager sia in prevalenza senior», conclude Rubini, «non mancano le opportunità anche per i neolaureati». Purché la laurea venga integrata da un master specialistico oppure partendo dalla gavetta nel mercato assicurativo, visto che molti broker diventano poi risk manager. © Riproduzione riservata