di Anna Messia
In ginocchio è finito anche il Fico bianco del Cilento. Caligola e Lucifero, gli ultimi due anticicloni africani che si sono abbattuti sull’Italia, non hanno risparmiato neppure il ricercato frutto dop pugliese. Regione da cui arriva il 75% della produzione nazionale di fichi e che, a causa della siccità che sta colpendo da mesi la Penisola, sta subendo un calo della produzione del 30%. E il Fico bianco del Cilento sarebbe addirittura a rischio di estinzione a causa dei mutamenti climatici che, stagione dopo stagione, stanno modificando in maniera sostanziale l’agricoltura locale e il paesaggio. Perché di fatto il clima che cambia scatena ormai un’emergenza perenne che per essere affrontata avrebbe bisogno di interventi strutturali. Senza i quali il conto dei danni è destinato inesorabilmente ad aggravarsi anno dopo anno. Le ultime settimane ne sono la dimostrazione: il caldo e la mancanza di precipitazioni hanno determinato la più grave siccità degli ultimi dieci anni, con conseguenze pesantissime. Secondo la Coldiretti il conto finale dei danni è di almeno un miliardo. I tagli ai raccolti, ha calcolato l’associazione, vanno dal 30% per il mais fino al 40% per la soia, e forti riduzioni sono previste anche per la barbabietola da zucchero (con quasi il dimezzamento della produzione delle regioni del Nord) e per il girasole. Senza dimenticare il calo del 10-15% della produzione di latte dovuto allo stress da caldo delle mucche, che in alcune zone ha provocato addirittura una flessione del 50%. Un problema che tra l’altro non riguarda solo l’Italia, considerando che il caldo sta soffocando diversi Paesi d’Europa e ha infiammato anche i mercati internazionali con il crollo del 13% del raccolto comunitario del mais, destinato all’alimentazione degli animali per produrre latte e carne, oltre ovviamente a formaggi e salumi derivati. I prezzi del prezioso cereale hanno raggiunto alla Borsa di Chicago il livello record di 8,3 dollari e non si tratta dell’unica emergenza. Pure la soia, anch’essa principale componente della dieta alimentare negli allevamenti, ha toccato il livello record dei 17 dollari per bushel (l’unità di misura del bene) a causa proprio del calo della produzione in Europa (su cui l’Italia ha un peso molto rilevate) ma anche della siccità che ha colpito gli Stati Uniti, dove si è registrato un calo del 13% della produzione. L’allarme è insomma planetario tanto che per lunedì 27 è stata convocata una conference call d’emergenza tra i paesi membri del G20, considerando che l’allarme cibo rischia di aggravare una situazione di crisi economica che è già di per sé preoccupante. Per restare all’Italia, una considerazione può essere utile per capire i rischi che si corrono con prezzi di mais e soia così alti. Queste materie prime sono infatti, come detto, le componenti principali della dieta alimentare degli animali da allevamento e il costo dei mangimi per gli allevatori alle stalle è di conseguenza aumentato mentre invece il prezzo del latte alle stalle (che non è direttamente legato ai costi di produzione) a luglio scorso si era ridotto del 10% rispetto allo stesso periodo dell’anno passato. Nel frattempo, come detto, il caldo negli allevamenti sta provocando una frenata nella produzione di latte delle mucche che nei casi più gravi si è addirittura dimezzato. L’aumento dei costi da una parte e il calo dei prezzi dall’altra rischia così di mettere in pericolo la competitività dell’intera filiera italiana della produzione di qualità per la quale devono essere utilizzate le materie prime del territorio di riferimento. Come il settore caseario o quello dei salumi, dal Parmigiano al Grana Padano (già colpiti dal sisma) al prosciutto di Parma o al San Daniele. Ma i rischio vanno oltre. Ad oggi si stima per esempio che il pomodoro da industria italiano, utilizzato per conserve e sughi e prodotto soprattutto in Emilia Romagna e Puglia, subirà un calo di produzione del 20-25%. Così l’Italia potrebbe essere scalzata nella produzione da altri Paesi. In prima linea c’è, come al solito, la Cina che offre il prodotto a prezzi più competitivi e che tra l’altro è avvantaggiata dal fatto che sulle etichette dei prodotti finiti, come per esempio una passata, non c’è alcun obbligo di indicare il Paese dal quale proviene la materia prima, come avviene per esempio con l’olio d’oliva. Questioni che preoccupano il governo, a partire dal ministro dell’Agricoltura, Mario Catania, che ha avviato l’iter per ottenere dalla Commissione europea l’autorizzazione all’erogazione degli anticipi Pac 2012 a partire dal 16 ottobre, abbreviando di circa 50 giorni i tempi previsti dalle scadenze comunitarie per l’accesso ai fondi agricoli dell’Ue che garantiscono un sostegno alle aziende in difficoltà. Ma anche i consumatori hanno iniziato a pagare il conto della siccità che ha già provocato un’impennata di prezzi di frutta e verdura di stagione. Come l’insalata, per esempio, che ha avuto un aumento dei prezzi all’ingrosso del 30%, ma anche anguria e melone, saliti del 20%. La salvezza potrà arrivare solo con Beatrice, l’anticiclone che nei prossimi giorni dovrebbe portare sulla Penisola le tanto attese piogge. A meno che le precipitazioni non siano troppo violente. In quel caso il conto dei danni sarà ancora più salato. (riproduzione riservata)