di Sergio Luciano
Ormai siamo assuefatti all’assurdo. E invece, come diceva Martin Luther King, bisogna cercare di essere «sempre indignati», almeno su certi assurdi. Un paio di giorni fa i giornali hanno titolato su un’opa (offerta pubblica d’acquisto) che la Sai avrebbe dovuto fare sulla Fondiaria, che invece ha eluso e per la quale dovrà quindi pagare dei danni. Qualche distratto avrà ricollegato quei titoli alle vicende degli ultimi mesi. Invece no. È una storia di quasi 11 anni fa che rispunta oggi, ironia della sorte, quando, attorno agli stessi soggetti, si discute ancora polemicamente su opa richieste e negate ma agganciate a ben altra vicenda, cioè alla vendita di tutto il gruppo FonSai all’Unipol. Perché bisogna indignarsi? Una velocissima ricostruzione basta a capirlo. regia di Mediobanca, all’inizio del 2002 la Sai compra la Fondiaria. L’operazione viene allestita in modo da affermare che l’acquisto non comporti l’obbligo di opa. Il mercato si ribella, la Consob pondera e intanto le due società si fondono. Alla fi ne, la Consob dice che sì, l’opa avrebbe dovuto esser fatta ma ormai è tardi. Un manipolo di soci di minoranza di Fondiaria fa allora causa per chiedere i danni ed, eccoci ai giorni nostri, fi nalmente, l’altro giorno, la Cassazione, dopo appunto dieci anni, sentenzia che questi soci hanno buon diritto a vedersi liquidare i danni, che andranno ora però quantifi cati in Corte d’appello. Alla fi ne, toccherà alla Sai e a Mediobanca pagare i risarcimenti. Come non indignarsi? Intanto per l’insipienza di quella Consob. Poi per l’asimmetria che si sancisce tra i soci che si rassegnarono agli eventi e quelli che reagirono per via giudiziaria. Ma soprattutto per i tempi biblici del procedimento, destinati ad allungarsi ancora di almeno un altro paio d’anni. Tempi che, oltretutto, sanano un torto cagionandone un altro: all’Unipol, che oggi – comprando FonSai – apprende che la propria «preda » (in procinto di essere assorbita) dovrà sostenere un esborso imprevisto per una colpa commessa quando era una sua aspra concorrente! A costo di essere pedanti: lungaggini di enormità non sono giustifi cabili con argomenti relativi al «merito» giudiziario e alle procedure istruttorie, perché sono decisioni basate su documenti da sempre disponibili e non su indagini o testimonianze. Insomma: ci si scandalizza, giustamente, per i tempi infi niti delle istruttorie penali e delle carcerazioni preventive. Ma altrettanto scandalo devono continuare a suscitare i tempi vergognosi della giustizia civile. Che ad oggi nessuna riforma ha ancora saputo ridurre. Anche questo è «spread» tra l’Italia e i Paesi normali. © Riproduzione riservata