di Laura Magna
«Senz’altro ciò a cui noi investitori dobbiamo abituarci è l’idea che la fine della tripla A sia sempre più vicina. Ricordiamoci che gli Usa hanno già perso la tripla A e ci sono sempre meno Paesi che hanno il massimo rating con un outlook stabile». Parola del tedesco Hans-Jörg Naumer, head of capital markets & thematic research di Allianz Global Investors. Secondo il quale all’orizzonte c’è un mondo in cui il merito di credito degli Stati tenderà a peggiorare.
È finita l’epoca dei primi della classe. Ma nel caso della Germania ci sono adeguate ragioni macroeconomiche a supporto della revisione dell’outlook?
La revisione dell’outlook della Germania non è stata una sorpresa eccessiva, ed è piuttosto interessante che non abbia fortemente impattato sui Bund. Non dovremmo dimenticare che il livello di debito pubblico in Germania va ben oltre i criteri di Maastricht e ancor più il fatto che la Germania è il principale creditore dell’Efsf e anche dell’Esm, che sarà probabilmente istituito dopo la decisione della Corte tedesca in settembre.
Dunque lei non abbraccia la visione del complotto Usa contro Eurolandia?
No. Non si tratta di un attacco all’euro: perché dovrebbe essere così? Quale ne sarebbe la motivazione? Molti altri Paesi al di fuori dell’Eurozona ricevono revisioni dell’outlook e anche downgrading. Viviamo in un’epoca di Paesi industrializzati fortemente indebitati: la repressione finanziaria sta bussando alla nostra porta.
Anche in Germania?
Le previsioni, come misurate dal recente declino dell’Ifo Business Climate Index, non sono ancora così negative da concludere che la Germania abbia davanti a sé l’inizio di una recessione. La Germania può ovviamente giocare la sua carta più forte, quella di vincitore nel processo di globalizzazione: il tasso di export è più che raddoppiato dagli anni ’90 ed è ora prossimo al 50 per cento. Per fare un confronto, il dato più recente circa il tasso di export della Repubblica Popolare Cinese, che ha sorpassato la Germania come maggiore esportatore al mondo ed è la seconda economia globale, indicava il 25%. Era al 35%, tuttavia, prima dello scoppio della crisi finanziaria e del forte calo negli scambi commerciali internazionali.
E l’industria come è messa?
Tale sviluppo può anche registrarsi a livello aziendale. In media, le società dell’indice Dax30 generano il 70% dei loro ricavi all’estero, lo stesso dato del 70% è registrato dalle società del MDax, mentre per le società dell’indice SDax è di circa il 50%. La forza globale è strettamente connessa a quella domestica. Il costo del lavoro per unità di prodotto, per esempio, ha continuato a diminuire in Germania dalla seconda metà degli anni ’90, mentre alcuni concorrenti hanno registrato significativi incrementi. Solo la vicina Francia ha conosciuto simili dinamiche favorevoli nel costo del lavoro.
Quale sarà il ruolo della Germania nell’evoluzione della crisi di Eurolandia?
La mia visione è che l’attuale crisi del debito nell’Ue probabilmente innescherà un processo di natura politica, che condurrà a una più forte unione fiscale e politica. Ci sono importanti segni di maggiore integrazione: l’austerity fiscale è oggi nell’agenda di tutti i paesi dell’Eurozona. Iniziative riformatrici strutturali sono state implementate nei Paesi periferici dell’Unione, e queste riforme dovranno proseguire. La creazione di una road map credibile fornirebbe adeguato supporto ai mercati finanziari, nonostante il suo concreto sviluppo necessiti poi di numerosi anni. La Germania continuerà comunque a giocare un ruolo primario in questo percorso.