di Andrea Di Biase
Se si volesse dare credito alle indiscrezioni fatte trapelare ieri dal Palazzo di Giustizia di Milano, Salvatore Ligresti e i suoi figli Jonella, Paolo e Giulia, che per dieci anni hanno esercitato il controllo su Fondiaria-Sai e hanno occupato posizioni di vertice nelle società del gruppo, non solo non sarebbero i principali responsabili del dissesto della compagnia assicurativa, ma sarebbero addirittura le vittime di una sorta di esproprio a favore di Unipol. Un esproprio deciso da Mediobanca e Unicredit, le due banche che, secondo il pm di Milano, Luigi Orsi, grazie ai generosi prestiti concessi in questi anni non solo a FonSai ma anche a Premafin e alle fallite Sinergia e Im.Co, hanno permesso ai Ligresti di utilizzare le risorse del gruppo assicurativo per finanziare non solo le imprese di famiglia ma anche i vizi privati dei suoi componenti. Questa tesi, che da mesi ormai viene riproposta incessantemente dagli organi di informazioni più ostili all’operazione Unipol-FonSai, e che Orsi sembra aver fatto propria, si basa su un assunto tanto suggestivo quanto semplicistico, che pur basandosi su una verità storica (il rapporto trentennale tra Ligresti e Mediobanca), la proietta in modo distorto fino ai giorni d’oggi. La tesi è la seguente: Mediobanca, in quanto principale creditore di Fondiaria-Sai, in virtù del prestito subordinato da 1,05 miliardi, avrebbe tollerato la scellerata gestione della compagnia da parte dei Ligresti, alla luce del fatto che FonSai è rimasta per tutti questi anni uno snodo centrale di quella rete di partecipazioni incrociate, una volta conosciuta come Galassia del Nord, che ha nella banca d’affari il suo epicentro e sulla quale quest’ultima ha costruito nel tempo la sua forza. Il fatto che FonSai detenga tuttora consistenti pacchetti azionari in Generali, Pirelli, Gemina, Rcs e nello stesso istituto di Piazzetta Cuccia, e continui a vincolarli a patti di sindacato assieme all’istituto milanese, rappresenterebbe la prova regina di questa tesi. Poco importa che, almeno dal 2003, quando Salvatore Ligresti decise (ormai scomparso Cuccia) di rompere con l’allora ad di Mediobanca, Vincenzo Maranghi (non solo per le differenti visioni della governance della compagnia che sarebbe nata dalla fusione tra Sai e Fondiaria), il gruppo si è mosso sempre più in maniera indipendente dal management della banca d’affari, tanto che in più di un’occasione su alcune partite chiave le posizioni sono state addirittura antitetiche. E poco importa pure che proprio a partire dal 2003 i riferimenti nel mondo bancario del gruppo Ligresti siano stati altri rispetto a Mediobanca. Basti pensare che l’attuale esposizione di Unicredit nei confronti delle società della famiglia è stata portata in dote dalla Capitalia di Cesare Geronzi, dove Matteo Arpe, uno dei due investitori che insieme alla Palladio Finanziaria puntava a contendere a Unipol il controllo di FonSai, è stato l’amministratore delegato dal 2003 al 2007. Tutto questo, ai critici dell’operazione Unipol-FonSai, non sembra interessare. E così i Ligresti, lungi dall’avere anche solo qualche responsabilità nella dissennata gestione di FonSai, sono diventati le vittime sacrificali di un disegno ordito ai loro danni dalla Mediobanca di Renato Pagliaro e Alberto Nagel e dall’Unicredit di Federico Ghizzoni e Fabrizio Palenzona. Un disegno finalizzato a tutelare i crediti delle banche e le poltrone di chi le guida e che passerebbe dalla cessione di Fondiaria-Sai a Unipol, senza che alla famiglia fosse consentito di prendere in considerazione eventuali altre proposte, che magari le avrebbero potuto permettere di avere ancora qualche ruolo nell’azionariato o nella gestione del gruppo. Secondo questa versione dei fatti, le banche avrebbero dunque fatto di tutto per spingere i Ligresti a fare un passo indietro: prima offrendo loro una gernerosa liquidazione e poi, di fronte allo stop imposto dalla Consob, arrivando addirittura alle minacce, come affermato da Paolo Ligresti nella lettera inviata al cda di Premafin lo scorso 28 giugno. Un’affermazione che il pm Orsi sembra considerare attendibile, tanto da avere concentrato le indagini proprio sulle trattative precedenti l’assemblea di Premafin del 12 giugno scorso, quando i soci della holding diedero il via libera all’aumento di capitale da 400 milioni riservato a Unipol, che ha portato i bolognesi all’81% della holding. Questa delibera è poi stata contestata sia da Paolo Ligresti sia dal custode giudiziario dei trust off-shore nominato dal Tribunale di Milano, Alessandro Della Chà. ?? proprio nel corso di queste indagini e, secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, dopo avere ascoltato proprio Paolo Ligresti, gli inquirenti sarebbero venuti a conoscenza di una lettera contenente un presunto accordo tra la famiglia, Mediobanca, Unicredit e Unipol finalizzato a concedere ai Ligresti una lauta buonuscita e alcune prebende. Secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa, l’accordo, che recherebbe la data del 17 maggio, prevederebbe il versamento ai Ligresti di circa 43 milioni di euro. Si tratterebbe del valore del 30% di Premafin in mano ai tre fratelli Ligresti prima dell’ingresso di Unipol. L’accordo, un paio di facciate in tutto, prevederebbe inoltre di lasciare a Salvatore Ligresti un ufficio con la segretaria, un autista e una delle cascine di sua proprietà all’interno della tenuta romana Cesarina, una sorta di liquidazione per Jonella e il mantenimento dell’attuale attività lavorativa che Giulia e Paolo svolgono in Francia e in Svizzera. Il testo dell’accordo è stato sequestrato giovedì scorso su ordine del gip Roberto Arnaldi nello studio dell’avvocato Cristina Rossello. Quest’ultima è anche il segretario del patto di sindicato di Mediobanca alla quale Salvatore Ligresti si sarebbe rivolto come garante dell’accordo. Tuttavia, nonostante l’ingegnere di Paternò, interrogato nei giorni scorsi da Orsi, sostenga di averlo firmato e come lui anche Nagel per conto di Mediobanca, sul documento sequestrato dall’autorità giudiziaria non compare alcuna firma, tantomeno quelle di Ghizzoni e dell’ad di Unipol, Carlo Cimbri, che pure sarebbbero citati nel testo. Che validità ha dunque questo patto? Secondo Mediobanca nessuno, anche perché quanto formalizzato nel documento sequestrato non sarebbe il frutto di un’intesa ma esclusivamente una proposta formulata dai Ligresti in un incontro tenutosi il 16 maggio ma mai sottoscritta da Piazzetta Cuccia, Unicredit e Unipol. In quell’occasione, secondo quanto è stato riferito, Ligresti si sarebbe presentato con un foglio manoscritto con alcune richieste (tra cui le vacanze gratis al Tanka Village per tutta la famiglia), che sarebbero state integralmente rigettate da Nagel. Chi avrà ragione? Il fatto che sia scesa in campo anche la Consob, che per questo ha chiesto un’integrazione dei prospetti degli aumenti di capitale di Unipol e FonSai, potrebbe aiutare a risolvere la questione in tempi brevi. L’autorità presieduta da Giuseppe Vegas ha infatti subordinato l’esenzione dall’opa concessa a Unipol al venire meno di eventuali premi e buonuscite concesse agli ex azionisti di maggioranza di Premafin. Ecco perché già nei prossimi giorni la Consob potrebbe acquisire il testo del presunto accordo e ascoltare le parti in causa. (riproduzione riservata)