Di Andrea Pezzi*
Le complesse interrelazioni esistenti tra fattori demografici, economici, tecnologici e socio-culturali hanno determinato, in Italia come in tutti i Paesi industrializzati, un aumento progressivo, a tassi crescenti, della spesa sanitaria, sia a causa dell’ascesa della domanda che della lievitazione dei costi. L’ultima indagine Istat (datata 2011) ha rilevato che in Italia la popolazione degli ultra 65enni passerà dal 30% nel 2005 al 62% nel 2030 mentre gli ultra 80enni saliranno sempre nel 2030 a 7,7 milioni da 2,9. Anche considerando l’effetto positivo delle politiche di prevenzione e il miglioramento degli stili di vita, l’aumento in termini assoluti della popolazione in stato di bisogno sarà considerevole. Mantenendo per ipotesi costante nel tempo la stima Istat di prevalenza del fenomeno, significherebbe 3,5 milioni di persone non autosufficienti (contro gli attuali 2). È ormai evidente che l’aumento del fabbisogno assistenziale e della spesa conseguente non può essere affrontato solo con politiche di razionalizzazione e di contenimento dei costi ma, per garantire la sostenibilità finanziaria dell’intero sistema dell’assistenza pubblica, risulta necessario ripensare il sistema dell’offerta e reperimento delle risorse, favorendo lo sviluppo di forme di finanziamento aggiuntive/integrative rispetto a quelle pubbliche, quali per esempio i Fondi sanitari integrativi. Quelli nazionali – legati al mondo del lavoro – rappresentano una risposta essenziale e indispensabile, ma per altri soggetti (lavoratori autonomi, precari e semplici cittadini) non c’è alcuna possibilità di avvicinarsi alla sanità integrativa se non realizzando strumenti specifici, anche in ambito locale, che abbiano nel territorio il proprio punto di forza. Una soluzione potrebbe venire dalla creazione, da parte di enti pubblici territoriali e interlocutori privati virtuosi, di Fondi territoriali a protezione assicurativa e gestiti da soggetti privati di provata capacità, specificamente indirizzati alle prestazioni non fornite dal sistema pubblico (i cosiddetti Fondi Doc). In realtà, al fine di favorire l’erogazione di forme di assistenza sanitaria integrative rispetto a quelle garantite dal Servizio Sanitario Nazionale (Ssn), l’art. 9 del decreto legislativo 502/92, disposizione contenuta anche nel dlgs 252/2005, riconosce già la facoltà ai soggetti pubblici e privati di istituire fondi integrativi sanitari, appunto i fondi Doc. Questi ultimi devono garantire prestazioni sanitarie non comprese nei livelli essenziali di assistenza (come l’odontoiatria), quelle erogate dal Ssn per la quota a carico dell’assistito, e prestazioni socio-sanitarie come quelle dedicate alla gestione delle persone non autosufficienti. L’adesione al Fondo Doc consentirebbe di avvalersi delle agevolazioni fiscali riconosciute a questi strumenti, risparmiare sul costo delle prestazioni, per esempio odontoiatriche, e intanto accantonare una parte dei contributi versati per le eventuali future prestazioni legate alla non autosufficienza. Il sistema dei fondi integrativi, lavorando in stretta sinergia con le parti sociali, il sistema assicurativo e le istituzioni può rappresentare uno strumento in grado di collegare due grandi settori, quello sanitario e il complesso mondo del socio-sanitario, che comprende la non autosufficienza e le disabilità. L’obiettivo generale deve quindi sempre più essere quello dell’integrazione e della collaborazione tra i Fondi sanitari integrativi e le realtà istituzionali del territorio (Regioni, Comuni, Asl e altri enti territoriali), nell’ottica di dare all’offerta territoriale la maggiore articolazione possibile tra servizi sanitari, socio assistenziali, psicologici e di sostegno alla persona. (riproduzione riservata) *direttore generale, UniSalute