di Francesco Ninfole
Boom di derivati per le banche. Nel 2011, l’anno della crisi del debito sovrano, gli istituti europei hanno aumentato l’esposizione sui derivati di 1.453 miliardi (+33%): un valore quasi pari al pil dell’Italia. I dati sono contenuti nell’ultima analisi R&S Mediobanca sulle banche internazionali, dalla quale emerge che oggi circa un quarto dell’attivo degli istituti Ue è legato ai derivati: il livello supera il 53% del pil europeo, anche se il dato in Italia si ferma all’11% del pil nazionale (i dati aggregati da R&S riguardano il valore di mercato dei derivati; il valore nozionale è di gran lunga superiore). Nel 97% dei casi si tratta di strumenti speculativi, cioè non sottoscritti per la copertura dei rischi. Il forte aumento è legato principalmente alla ricerca di nuove fonti di redditività: le altre sono state compromesse dalla crisi. Se tuttavia ci fosse una perdita di valore del 10% del portafoglio derivati, secondo il calcolo di R&S, sarebbe bruciato il 55% del patrimonio netto delle banche Ue. Anche negli Usa c’è stata un’impennata di derivati: dai bilanci emerge un incremento del 3%, ma se si escludesse il netting (la procedura di compensazione tra derivati in attivo e in passivo, poco utilizzata in Europa), la crescita lorda sarebbe del 28%, cioè pari a 1.068 miliardi. A causa di questi aumenti non c’è stato deleveraging: in Europa l’attivo totale è cresciuto del 5% (negli Usa del 10%), nonostante il portafoglio titoli si sia ridotto del 12% (l’esposizione complessiva sul debito italiano è di 161 miliardi). Gli impieghi sono diminuiti dell’1%, mentre più rilevante è stata la caduta degli asset immateriali (-10%), soprattutto per l’opera di pulizia delle due maggiori banche italiane (20 miliardi di svalutazioni su 54 di oneri straordinari totali Ue). La stagione delle svalutazioni però potrebbe non essere finita: Intesa e Unicredit hanno intangibili, in percentuale sul totale attivo, superiori alle medie Ue. Stesso discorso per gli accantonamenti sul credito: un allineamento ai livelli Ue comporterebbe per i cinque maggiori istituti italiani accantonamenti per 5,7 miliardi. L’esplosione dei derivati, rilevata solo in piccola parte dagli indici di Basilea, non ha intaccato i rapporti patrimoniali, che si sono rafforzati soprattutto grazie alle ponderazioni per il rischio degli attivi. La leva, calcolata invece senza ponderazioni, ha continuato a crescere, da un multiplo di 28,3 a 28,9. Le buone notizie arrivano in merito agli attivi illiquidi (livello 3), diminuiti del 9%. Sono inoltre migliorate le posizioni di cassa e liquidità (+53%) grazie alle aste di rifinanziamento della Bce (nei dati a fine 2011 è inclusa solo la prima Ltro), mentre la raccolta obbligazionaria è scesa del 10%. In Europa il grande problema resta la redditività. Il roe è precipitato all’1,9%, lontano dalle medie ante-crisi (14%) e anche dall’attuale livello negli Usa (7,5%). L’anno scorso nell’Ue i minori accantonamenti sul credito hanno compensato solo in parte la caduta del trading (-30%) e soprattutto le svalutazioni. L’utile netto è crollato del 73%. Anche il 2012 è partito male: nei primi tre mesi la flessione dei ricavi è stata dell’8%, mentre quella dell’utile è arrivata al 32%, nonostante l’ulteriore riduzione del 4% degli accantonamenti per perdite su crediti. Negli Usa i ricavi sono diminuiti del 2% e gli utili del 12%. (riproduzione riservata)