di Laura Magna
Tra il 1994 e il 2011 hanno reso in media il 9,04%, rispetto al 7,18% archiviato dalle azioni, il 6,25% delle obbligazioni e il 7,27% delle commodity. Il tutto con una volatilità estremamente bassa, e con una capacità di proteggere il capitale più elevata rispetto ad altre asset class. Questa è solo la prima delle ragioni per cui Kmpg ritiene che gli hedge fund abbiano un valore, sottostimato, per investitori, mercati ed economia nel suo complesso. «Per l’investitore – spiegano gli analisti di Kpmg – gli hedge rappresentano uno strumento importante dal punto di vista economico, capace di fornire performance aggiustate al rischio con il beneficio della diversificazione. Un portafoglio che contiene una quota di hedge fund ha performance superiori rispetto all’allocazione tradizionale 60/40 azioni/obbligazioni. E, ciò che è più importante, la performance superiore non è associata ad un assunzione di rischio eccessivamente alto». Così chi ha investito nell’indice Hfr (che contiene quasi 10.000 single hedge fund) ha quintuplicato, nel periodo 1994-2011, il patrimonio. Chi è stato sull’azionario l’ha invece triplicato. La conclusione è che, al di là della credenze comuni e a dispetto della cronaca del passato che vede gli hedge come destabilizzatori, in alcuni casi, di situazioni economiche già difficili, questa asset class «apporta un’importante quota di liquidità nei mercati in cui è attiva, senza rappresentare una minaccia per la stabilità del sistema finanziario, vista la scarsa correlazione con le altre principali asset class».
PERFORMANCE AL TOP. Un altro mito che Kpmg vuole sfatare è quello delle commissioni. «Assumendo una management fee dell’1,75% e una perfomance fee del 17,5% – dicono gli analisti – i rendimenti lordi sono pari al 12,61%, di cui il 9,07% è la fetta che finisce all’investitore, e il 3,54% in commissioni. L’invetistitore cioè raccoglie ben il 72% del rendimento complessivo».
La cosa che appare più interessante, per l’epoca di crisi che stiamo sperimentando, è che gli hedge sono uno strumento capace di apportare liquidità. Secondo gli analisti di Kpmg, questa caratteristica è stata bene visibile durante la bancarotta di Lehman. Gli hedge che usavano Lehman come broker primario non avevano la possibilità di fare trading dopo la bancarotta e avevano una probabilità doppia di fallire rispetto ai fondi equivalenti. Le azioni transate dagli hedge collegati a Lehman di contro hanno sperimentato maggiori declini nella liquidità dopo il 15 settembre rispetto alle azioni non collegate. «Inoltre – dicono ancora da Kpmg – c’è molta letteratura che documenta come il mercato delle obbligazioni convertibili sia formato per il 75% proprio dagli hedge. Ad esempio, nel 2003 gli hedge specializzati hanno comprato circa l’80% dei bond convertibili di nuova emissione». Anche le strategie short, che sono una classica modalità di operatività degli hedge, hanno la capacità di apportare liquidità. «Lo abbiamo dimostrato in modo indiretto, poiché i dati sulle posizioni short non sono pubblici. Ma durante i divieti che sono stati imposti alle vendite allo scoperto si sono riscontrati effetti negativi sulla liquidità, in particolare per le small cap. Il bando allo short aveva anche l’effetto di rallentare la formazione del prezzo, specialmente in mercati Orso, e comunque di non supportare i prezzi nella maggior parte dei mercati». Una prova di questo ruolo delle vendite allo scoperto si ha anche nel mercato britannico nel corso del divieto imposto alla fine del 2008 e durato fino all’inizio del 2009. «Il flusso degli ordini è rimasto costante, ma il volume di trading nel settore finanziario si è ridotto enormemente. Il mercato si è dimostrato molto meno efficiente fino alla rimozione del divieto. In sostanza, lungi dallo stabilizzare il mercato, il bando ha avuto l’effetto di esacerbare i problemi di volatilità nei prezzi e di incertezza nei valori». E gli hedge hanno avuto il loro ruolo anche nella bolla del Nasdaq nel 2001. «Ovviamente hanno cavalcato e non combattuto la bolla – dicono ancora da Kpmg – ma andando short prima del collasso hanno contribuito alla formazione del prezzo di mercato».
MENO RISCHI OPERATIVI. Di recente nell’industria sono intervenute modifiche normative che hanno migliorato la gestione del rischio. «Questo – spiagno gli esperti della società di consulenza Usa – probabilmente porterà un aumento dei costi, ma ci sono prove che l’attenzione alla gestione del rischio si traduca in migliori perfomance». Nel 2008 i fondi hedge che usavano modelli formali di controllo del rischio hanno perso meno dell’asset class in generale (che ha subìto un crollo di oltre il 20%). Un’altra caratteristica che rende gli hedge una asset class in qualche modo protettiva è la composizione del portafoglio: nel 2011 il 61% del portoglio conteneva titoli istituzionali, contro il 44% nel 2008. «Questa istituzionalizzazione dell’industria può aumentare il livello di liquidità e trasparenza del settore – conclude lo studio Kpmg – candidando gli hedge fund a diventare gli interlocutori di riferimento di investitori con un elevato valore sociale, come Fondi pensione e Fondazioni».