Alla fine se ne è andato anche Antoine Bernheim, l’ultimo degli highlander del capitalismo italiano, che però italiano non era. Anzi, quando ancora era orgogliosamente alla guida di un emblema di Piazza Affari come Assicurazioni Generali, si ostinava a rivolgersi nella sua lingua natale, il francese, ai suoi interlocutori accorsi a Trieste per gli appuntamenti istituzionali del gruppo. Fatto scendere dallo scranno d’oro della presidenza della compagnia triestina un biennio fa, nonostante fosse prossimo ai novant’anni, osservava piccato nel corso dell’assemblea : «Non sono un vecchio rimbambito. Enrico Cuccia guidava Mediobanca a 93-94 anni. Ho fatto un lavoro molto buono, ma ho dei nemici». L’incarico era scaduto, i limiti d’età sopravvenuti (85 anni), ma tutto questo non costituiva, nell’ottica di Berheim, una ragione sufficiente per farsi da parte. Anzi. Difendere la poltrona era diventata una questione di principio dopo che il finanziere transalpino, negli ultimi quarant’anni si era speso tra i due salotti dell’élite di Piazza Affari: Mediobanca (di cui è stato vicepresidente dal 1988 al 2001) e Generali (nel cui cda entrò nel 1973, per poi assumere l’incarico di vicepresidente nel 1990 e di presidente per due lunghe stagioni dal 1995 al 1999 e poi dal 2001 al 2010). A conferma di un carattere e di una volontà inossidabili, nonostante l’assunzione di un incarico onorario a Trieste, lautamente retribuito, l’allontanamento dagli scranni esecutivi del Leone comportò degli strascichi giudiziari abbandonati solo lo scorso aprile
Poco mondano e grande appassionato di bridge, oltre che dotato di un indiscutibile fiuto per gli affari, Berheim nacque a Parigi nella buona borghesia di origini ebraiche. Classe 1924 si unì ben presto alla resistenza per poi laurearsi, in giurisprudenza prima e poi in scienze. A livello lavorativo, Berheim ha iniziato la propria carriera in Bourjois, un’azienda di cosmetici della famiglia Wertheimer, per poi entrare in contatto negli anni ’60 con il banchiere Andrè Meyer di Lazard. E fu Lazard per Berheim il campo base per quella che ben presto si trasformò in una scalata ai poteri e ai vertici della finanza internazionale. Nella banca d’affari Berheim assunse ben presto, nel 1967, un ruolo da protagonista come senior partner (incarico che mantenne fino 2000 e quindi fino al 2005 associato di Lazard Llc).
Da banchiere d’affari aveva una visione strategica improntata verso la creazione di grandi colossi internazionali; e infatti Berheim fu l’artefice di numerose fortune d’Oltralpe: da quella di Bernard Arnault (Lvmh) al concorrente François Pinault (Ppr) fino al finanziere bretone Vincent Bolloré. Quanto all’Italia, i rapporti più stretti iniziarono negli anni ’70. Ben presto il banchiere d’affari si inserì da protagonista a Piazza Affari entrando nel cda di Mediobanca e in quello di Generali (Lazard era entrata nel capitale del Leone tramite la finanziaria lussemburghese Euralux). L’asse costituito tra i due grandi vecchi del capitalismo italo francese, Cuccia e Berheim, coltivato nel corso degli anni e sostenuto da una visione strategica simile, ha dato volto e forma all’attuale universo finanziario tricolore.
Tutto sembrava quadrare alla perfezione, i rapporti tra controllata e controllante (Generali e Mediobanca) da un lato e tra i due rispettivi capitani (Cuccia e Bernheim) erano al massimo splendore quando l’influenza di Lazard negli affari italiani iniziò a irritare Mediobanca e Bernheim fu spodestato dalla presidenza di Generali (1999). «Procurai al giovane Gerardo Braggiotti, proveniente da Mediobanca, un posto in Lazard – spiegò poi in un’intervista il banchiere – loro sospettarono che volessi sfilare a Mediobanca i maggiori clienti. Stupidaggini, sia Maranghi sia Cuccia mi hanno poi chiesto scusa». Un affronto poi presto riparato grazie all’aiuto di Bollorè che, entrato nel cda di Mediobanca, riuscì a richiamare Berheim alla presidenza delle Generali già nel 2002 (al posto di posto di Gianfranco Gutty e affiancato da Perissinotto e Balbinot). E questa volta Bernheim si mantenne saldamente la presidenza per otto anni, fino all’assemblea dell’aprile 2010. «Non mi vogliono più, me ne vado», aveva dichiarato in quell’occasione il banchiere che poi aveva aggiunto: «Andate, andate a intervistare le vedettes, i nuovi amministratori. Non bisogna intervistare i perdenti… Mi sento depresso. Le Generali sono 40 anni della mia vita. Alla mia età è lavorare che mi tiene in vita».
Da allora tuttavia il Leone non ha più conosciuto pace. Prima l’uscita polemica di Cesare Geronzi (subentrato a Bernheim) lo scorso anno e nei giorni scorsi quella dell’ad Giovanni Perissinotto, sfiduciato dal cda e che dopo 11 anni alla guida del gruppo ha dovuto lasciare il posto a Mario Greco, in arrivo da Zurich. Quanto a Berheim dopo aver lasciato ad aprile il cda di Lvmh (ne faceva parte dal 1988), continuava a essere membro del cds di Eurazeo e del gruppo editoriale Le Monde ed era membro dei cda di Ciments Français e Europacorp.