Pagina a cura DI DUILIO LUI
Nel migliore dei casi, i lavoratori che hanno oggi intorno ai 40 anni andranno in pensione con un assegno dimezzato rispetto all’ultimo stipendio. La situazione sarà leggermente migliore per chi ha qualche anno in più e peggiore per i giovani. Il tutto a bocce ferme, perché poi occorre considerare anche eventuali, nuove riforme per il settore (il welfare pubblico è destinato a ridursi progressivamente), l’impatto sul sistema retributivo delle due recessioni degli ultimi anni ed eventuali imprevisti come periodi di disoccupazione o scopertura (vedi il caso attuale degli esodati). Insomma, quanto basta per considerare seriamente la possibilità (e le relative modalità) di costruirsi una pensione di scorta, scegliendo lo strumento più adatto alle proprie esigenze. Italiani poco attenti al futuro. La media europea di adesioni alla previdenza complementare è del 91%, mentre in Italia gli iscritti sono soltanto il 23% dei lavoratori. Basta questo dato – che trova diverse spiegazioni, dal ritardo normativo sui fondi pensione a questioni culturali, alla generosità del nostro sistema pensionistico fi no a qualche lustro fa – per comprendere la gravità della situazione. Tanto che, dopo anni di annunci, fi nalmente nei prossimi mesi l’Inps dovrebbe procedere con l’invio della cosiddetta «busta arancione», un documento che attesterà la situazione previdenziale di ciascun lavoratore, con una prospettiva di lungo termine. Un altro freno allo sviluppo della previdenza complementare nel nostro Paese è costituito dalle performance insoddisfacenti registrate negli ultimi anni dai fondi pensione. Questi ultimi, infatti, hanno pagato il diffi – cile andamento dei mercati fi nanziari, chiudendo spesso su livelli peggiori rispetto alla rendita assicurata dal tfr. Anche se, dopo il risicato 0,1% realizzato nel 2011, nel primo trimestre di quest’anno i comparti di categoria hanno guadagnato in media il 3,8%, mentre la rivalutazione del tfr in azienda è stata pari a un ben più modesto 1,1%. Tfr, fondo pensione e polizze a confronto. Anche se, quando si parla di investimento previdenziale, l’ottica non può che essere di lungo termine. Oltre a considerare l’impatto fiscale dei diversi strumenti. Così se il tfr lasciato in azienda (o a un fondo Inps se il datore di lavoro ha più di 50 dipendenti) rende l’1,5% annuo più il 75% del tasso di infl azione, è pur vero che il passaggio dal lordo al netto comporta l’applicazione di un’aliquota pari alla media degli ultimi cinque anni. In pratica, questo significa un prelievo che può oscillare dal 23 al 43%, in virtù delle aliquote oggi esistenti. Al contrario, aderendo a una forma di previdenza complementare, il passaggio dal loro al netto vedrà l’applicazione di un’imposta massima del 15% se si è rimasti nel fondo fi no a 15 anni e inferiore dello 0,3% per gli anni successivi, fi no a un minimo del 9%. Considerando che il lavoratore italiano medio paga di Irpef intorno al 30%, il risparmio fi scale è evidente. Con la convenienza che cresce in caso di adesione a un fondo pensione aperto, nel qual caso il datore di lavoro è tenuto a un versamento aggiuntivo, in linea con quanto stabilito nel contratto collettivo. Le agevolazioni fi scali sono presenti anche nelle soluzioni assicurative (i cosiddetti Pip), che includono anche forme di protezione per l’assicurato, ma mediamente registrano costi ben più elevati dei fondi pensione. Quali asset class. L’offerta della previdenza complementare è vastissima. Ci sono differenze legate alla rischiosità e alle aree geografiche. La scelta, come sempre, è legata alla propensione al rischio dei singoli, all’orizzonte temporale dell’investimento, oltre che a situazioni particolari (ad esempio, se il lavoratore è percettore dell’unico reddito familiare o se, invece, contribuisce con altri). Più è lungo il periodo dell’investimento, tanto più i gestori consigliano in genere di assumere rischi maggiori nei primi anni, puntando su una quota maggiore di equity, per poi riservarsi di incrementare l’esposizione sulle obbligazioni man mano che si procede nella contribuzione. Le alternative. Nulla toglie che ci si possa costruire una pensione di scorta facendo ricorso ad altri strumenti, in alternativa o per integrare il Tfr o la previdenza integrativa. In materia di investimenti finanziari il pensiero va innanzitutto ai fondi comuni e agli Etf, entrambi caratterizzati da un ampio ventaglio di asset class e aree geografi che, ma sprovvisti di normativa di favore come nel caso dei fondi pensione. Resta, infi ne, sempre la possibilità di puntare sul mattone, acquistando una casa per generare una rendita futura o per rivenderla al momento della pensione. La crisi economica che investe la Penisola e l’aggravio della fi scalità sugli immobili potrebbe deprimere ulteriormente i prezzi – scesi già di oltre il 10% rispetto a tre anni – aprendo dunque nuove prospettive a chi progetta un investimento sul mattone. © Riproduzione riservata