di Anna Messia
Meglio valorizzare PosteVita o i servizi finanziari del BancoPosta? A rilanciare il tema della privatizzazione di società oggi interamente controllate dal ministero dell’Economia è stato il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, a margine dell’assemblea annuale della commissione che si è tenuta a Piazza Affari lunedì 14. Vegas ha sostenuto in particolare che una possibile quotazione in borsa di imprese pubbliche come le Poste Italiane e le Ferrovie dello Stato «sarebbe una cosa buona». Dichiarazioni a cui ha risposto a stretto giro di posta il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, affermando che «l’ipotesi potrebbe essere considerata, anche se finora non lo è stata». L’argomento potrebbe quindi essere presto inserito nell’agenda del governo, con l’obiettivo di ridurre il debito pubblico. L’amministratore delegato delle Ferrovie Italiane, Mauro Moretti, ha subito aperto la porta all’iniziativa, dichiarando che «il gruppo ferroviario sarebbe pronto a debuttare in borsa, fermo restando che la decisione spetta al governo», qualche perplessità in più invece sembra arrivare dal fronte postale. Del resto, solo una settimana fa il numero uno delle Poste Italiane, Massimo Sarmi, proprio dalle pagine di MF-Milano Finanza aveva sottolineato che la valorizzazione di alcune componenti del gruppo, che si tratti di BancoPosta o di PosteVita, non sarebbe senza conseguenze per Poste Italiane, che si trova costretta a fare i conti con il calo strutturale dei ricavi provenienti dai servizi postali tradizionali. Un business destinato per forza di cose a un giro d’affari ridimensionato a causa della crescente digitalizzazione dei sistemi di comunicazione. Per ovviare a questo problema, la strategia adottata da Sarmi fin dal suo arrivo al vertice del gruppo, nel 2002, è stata quella di diversificare il business in nuovi settori d’attività, aggiungendo ai servizi postali tradizionali e ai libretti e ai buoni postali (collocati per conto di Cassa Depositi e Prestiti), anche conti correnti, polizze assicurative Vita e Danni, prestiti e carte prepagate, fino alle sim telefoniche. Un ventaglio completo di servizi che ha permesso al gruppo di continuare a ottenere risultati in crescita e di raggiungere una posizione di leadership tra gli operatori postali di tutti i Paesi. «Se dovessero venire meno le sinergie e ai ricavi dell’intero gruppo potremmo essere costretti a chiudere alcuni uffici che sono economicamente efficienti solo grazie all’offerta di altri servizi rispetto a quelli tradizionali», ha dichiarato Sarmi a MF-Milano Finanza. Insomma, alcuni dei 14 mila sportelli potrebbero essere destinati ad abbassare le saracinesche. Ma se il governo fosse deciso ad andar avanti per la strada della quotazione, quale sarebbe la soluzione migliore per evitare di colpire il gruppo? Meglio appunto prendere in considerazione la quotazione della componente assicurativa del gruppo oppure quella del braccio finanziario raccolto in BancoPosta? A guardare il bilancio 2011 emerge che la fetta maggiore di business proviene dalle polizze, che l’anno scorso hanno apportato al gruppo ricavi per 11,2 miliardi, stabili rispetto al 2010. Con questi numeri PosteVita si colloca ai vertici del settore. Mentre i servizi finanziari, sempre in termini di ricavi, hanno pesato meno della metà, ovvero 5 miliardi rispetto ai 4,9 miliardi di un anno prima. Ma il rapporto si rovescia se invece dei ricavi si considera il ben più importante risultato operativo. In questo caso a farla da padroni sono i servizi finanziari, che nel 2011 hanno reso 1,4 miliardi (1,39 mld nel 2010), mentre le polizze hanno reso appena 367 milioni, tra l’altro in calo rispetto ai 436 milioni del 2010. (riproduzione riservata)