di Roberta Castellarin e Paola Valentini
A quattro mesi dalla legge salva-Italia gli italiani iniziano a chiedersi chi salverà loro. I primi a prendere coscienza di cosa significa la riforma delle pensioni firmata Monti-Fornero sono stati gli esodati, ossia quell’esercito di lavoratori che aveva firmato piani di uscita anticipata dal lavoro contando sulla pensione, che ora non arriverà se non tra alcuni anni. Così si trovano in una trappola da cui è difficile uscire. Le aziende non sono disposte a riassumerli e mancano ammortizzatori sociali pensati per loro. Come ammette anche Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps, «il problema esiste e forse poteva essere gestito in maniera più veloce. In ogni caso, il governo deve emanare il decreto entro il 30 giugno. Confido che con le parti sociali si trovi una soluzione, il 9 maggio ci sarà il primo incontro. È necessario usare tutti gli strumenti a disposizione per raggiungere un quadro di certezza prima di arrivare a tensioni sociali che il paese non può permettersi». Ma se per gli esodati la doccia fredda è arrivata subito, per alcuni milioni di italiani rischia di arrivare tra qualche anno. Che la pensione pubblica sia destinata a essere sempre più magra è cosa ormai nota. E la crisi economica in atto, con un Pil 2012 stimato dalla Banca d’Italia in calo dell’1,5%, ha peggiorato le cose perché si aggiunge alla caduta registrata nel 2008 e nel 2009 (meno 6,3% complessivo). La recessione avrà un effetto negativo sull’assegno finale dal momento che la rivalutazione dei contributi versati è commisurata alla variazione media del Pil dell’ultimo quinquennio. Ma di quanto? Ancora nessuno lo sa perché l’Inps e gli altri enti di previdenza non dicono ai lavoratori l’esatta stima di pensione che ciascuno si può attendere. Eppure, conoscere l’importo del primo assegno che si otterrà al momento del buen retiro è fondamentale nel far prendere coscienza ai cittadini dell’urgenza di costruirsi una pensione di scorta. Tuttavia, da qualche settimana finalmente qualcosa sembra muoversi. «Abbiamo messo a punto un sistema di proiezione della pensione per chi ha più di 22 anni di contributi, per chi ne ha meno invece diamo una previsione del tasso di sostituzione», precisa Alberto Brambilla, responsabile del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale che organizzerà a Milano dal 10 al 12 maggio la giornata nazionale della previdenza dove sarà possibile incontrare gli enti previdenziali, farsi fare un estratto conto previdenziale, ottenere simulazioni sulla pensione attesa. Accanto a questa novità, Brambilla rivela che a giugno è previsto l’invio a 6 milioni di lavoratori degli estratti conto integrati per chi è iscritto a più enti. «Un primo invio pilota era stato realizzato a dicembre scorso per 100 mila iscritti», aggiunge Brambilla, «quest’operazione è possibile perché nel 2009 abbiamo perfezionato l’Anagrafe generale dei lavoratori, un sistema che, se attivato, avrebbe permesso di conoscere subito il numero di esodati perché alla fine di ogni mese fornisce la fotografia del mese precedente di entrate, uscite e lavoratori attivi e in pensione». Resta il fatto che una stima della pensione ancora latita. Se in questi giorni arrivasse nelle case degli italiani una lettera che spiega a un lavoratore dipendente di trent’anni che potrà andare in pensione tra 66 e 69 anni con un assegno che nella peggiore delle ipotesi copre il 51% dell’ultimo stipendio (in quella migliore il 77% e in una situazione media il 62%), egli avrebbe la possibilità di pianificare il proprio futuro tenendo conto del fatto che tale assegno andrà in qualche modo integrato. Se poi a ricevere la lettera fosse un lavoratore autonomo che dovrà fare i conti con un intervallo fra il 36% e il 54% dell’ultimo stipendio, dopo lo shock iniziale ci sarebbe sicuramente una seria riflessione su come correre ai ripari. Peraltro, queste ipotesi di pensione elaborate da Progetica per MF-Milano Finanza tengono conto di una vita lavorativa senza alcun periodo di discontinuità, perché in caso di periodi di interruzione la copertura scende ulteriormente. E non ci saranno paracadute. Oggi infatti lo Stato integra le pensioni al minimo, ma non lo farà più in futuro. Per cui i 30-40enni non avranno alcuna protezione in caso di pochi contributi versati, come ha ricordato più volte Brambilla. E se lo Stato non ama dare cattive notizie, tacere in questo caso potrebbe essere un grave errore. Come dimostra uno studio dell’università del Minnesota (riquadro a pag. 13) secondo cui dare ai lavoratori più trasparenza nella propria posizione previdenziale equivale a dare un incentivo fiscale a risparmiare per aderire alla previdenza com-plementare. Si tratta di dare agli italiani la cosiddetta busta arancione che in Svezia e in Inghilterra informa i cittadini sulla posizione previdenziale e sulla pensione che ci si può attendere. Ma in Italia le informazioni disponibili a oggi su siti web dei fondi pensione restano frammentarie. Rinviare ulteriormente il problema è però pericoloso, perché come ha ricordato lo stesso Giovanni Perissinotto, amministratore delegato delle Generali al Salone del risparmio organizzato da Assogestioni, «meglio spaventare subito, gli shock tardivi sono i peggiori ». E se oggi soltanto poco più del 20% dei lavoratori aderisce ai fondi pensione, c’è da sottolineare che le percentuali di iscritti tra le giovani generazioni, quelle che avrebbero più bisogno di una rendita integrativa, è decisamente più bassa, così come del resto le loro retribuzioni. Resta l’urgenza di costruire una pensione di scorta. A questo proposito un intervento dello Stato per informare di più e meglio i lavoratori italiani è previsto anche nella legge salva-Italia che prevede che il ministero del Lavoro guidato da Elsa Fornero elabori annualmente, insieme agli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, un programma coordinato di iniziative di informazione e di educazione previdenziale. In questo programma è inclusa la comunicazione da parte degli enti gestori di previdenza obbligatoria circa la posizione previdenziale di ciascun iscritto. Una formula vaga che potrebbe anche comprendere l’invio della busta arancione made in Italy. D’altra parte proprio la stessa Fornero è ben consapevole della questione e in un convegno all’università di Torino, quando non era ancora ministro, aveva sottolineato che «occorrono informazioni trasparenti e il più possibile complete sulla pensione e sui benefici del posticipo del pensionamento. E anche programmi di educazione finanziaria per accrescere la consapevolezza, la preparazione e la responsabilità dei singoli rispetto alla loro età anziana». Ecco perché anche il presidente della Covip, Antonio Finocchiaro, spera che questa sia la volta buona e che le disposizioni contenute nella legge salva- Italia siano realizzate. «Mi auguro che l’azione che seguirà l’enunciato includa l’informazione periodica al lavoratore attivo sulla stima della rendita da percepire al momento della pensione in base alla contribuzione in essere. Sarebbe un contributo fondamentale per consentire a ciascun lavoratore di formulare ragionevoli previsioni sul tasso di sostituzione desiderato e sugli strumenti integrativi da utilizzare per raggiungerlo. Conosco», prosegue il numero uno della Covip, «le difficoltà, non soltanto tecniche, che possono condizionare la realizzazione della cosiddetta busta arancione». Proprio la Covip ha dovuto affrontare alcuni di questi nodi per realizzare il progetto esemplificativo, una stima fornita da tutti i
fondi sulla pensione integrativa che l’iscritto si può attendere. «Ma devo rilevare che si stanno moltiplicando le iniziative private per il calcolo in base ad alcune ipotesi generali». Su una grande alleanza pubblico privato punta invece il presidente dell’Inps. Dice Mastrapasqua: «Abbiamo dato la disponibilità dell’ente previdenziale unico pubblico a educare le nuove generazioni ». Prima non c’era così tanto bisogno di spiegare, perché si sapeva che si andava in pensione con l’80% del proprio stipendio e le persone erano soddisfatte. «Ora è cambiato tutto, occorre un solido mix tra spiegazione ed educazione su quello che sarà il nuovo sistema facendo capire chi avrà il 90%, chi il 37%, chi il 60%, quanto versare, qual è il vantaggio fiscale e in termini di avvenire che si potrà avere dalla previdenza complementare», conclude Mastrapasqua. Proprio il nuovo sistema di calcolo retributivo fa sì che l’importo dell’assegno finale dipenda da di-verse variabili. Spiega Andrea Carbone della società di consulenza indipendente Progetica: «La recente riforma Monti-Fornero ha completato un percorso che ha portato la previdenza dal mondo del calcolo a quello della stima. I meccanismi previdenziali portano con sé notevoli ambiti di variabilità, che possono essere sintetizzati attraverso l’uso di opportune forchette di stima sul momento del pensionamento e sull’ammontare dell’assegno pubblico». In attesa di poter ricevere una vera busta arancione, Progetica ha effettuato alcune elaborazioni che incorporano tre differenti scenari per ognuno dei cosiddetti rischi della previdenza pubblica: contributivo (la dinamica di carriera), finanziario (la rivalutazione dei contributi in base al Pil) e demografico (l’allungamento della speranza di vita). Da questi nove scenari sono derivate le stime riportate nella tabella pubblicata a pagina 12. Un’importante ipotesi sottostante ai casi simulati è, come ricordato, la continuità lavorativa. «All’aumentare del tempo mancante alla pensione, aumenta l’ampiezza della forchetta di oscillazione, che si ridurrà con il passare del tempo», sottolinea Carbone. Le elaborazioni di Progetica stimano anche il versamento che sarebbe necessario per ottenere mille euro di rendita integrativa al mese. Dalle simulazioni emerge che un giovane di 30 anni che andrà in pensione a 67 anni deve versare 460 euro in una linea garantita per ottenere questo importo, mentre un lavoratore di 50 anni dovrà investire oltre il doppio. «Come noto, il tempo è un prezioso alleato», conclude Carbone. (riproduzione riservata)