di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Dopo aver blindato i conti della pensione pubblica, spostando in avanti la data dell’addio al lavoro e introducendo il contributivo per tutti, ora il ministro del Welfare Elsa Fornero deve rilanciare la previdenza di scorta, che ancora copre soltanto il 20% dei lavoratori. Così ancora una volta i riflettori si accendono sul risparmio degli italiani, che deve tornare a rappresentare la benzina dell’economia italiana. L’idea sarà al centro del Salone del Risparmio organizzato a Milano da Assogestioni dal 18 al 20 aprile e dedicato proprio al tema «Risparmio, tra stabilità e crescita ». Nella conferenza di apertura, oltre al presidente di Assogestioni Domenico Siniscalco, saranno presenti proprio il ministro Fornero, Giovanni Perissinotto, amministratore delegato del gruppo Generali, e Giuseppe Vegas, presidente di Consob. E in questa occasione il tema della previdenza complementare sarà centrale. Oggi più di un terzo degli asset dei fondi pensione negoziali è nelle mani di Eurizon, Unipol e Pioneer. Ma, come è già avvenuto per i fondi aperti, i grandi gestori esteri stanno scalando posizioni e nel 2012 la partita si è riaperta. A dirlo sono i numeri dei comparti negoziali. Quest’estate scadranno oltre 60 mandati di gestione su 230 per un volume complessivo di asset under management vicino ai 10 miliardi, poco meno della metà degli asset complessivi gestiti. In particolare, dopo cinque anni dal semestre del silenzio-assenso molti mandati garantiti finiranno quest’estate. Così i fondi pensione hanno già preparato i bandi per selezionare i nuovi asset manager. E si apre una sfida per i gestori assicurativi. Una parte delle linee garantite lanciate nel 2007 offrivano un rendimento pari a quello del Trattamento di fine rapporto (Tfr), ossia il 75% dell’inflazione più l’1,5%, grazie a convenzioni stipulate dai fondi pensione con le compagnie assicurative. Con quanto sta accadendo sui mercati obbligazionari fissare un rendimento minimo garantito è sempre più difficile. Ed è per questa ragione che molti mandati avranno una durata più lunga rispetto al passato. In molti casi per le linee garantite l’orizzonte non sarà più di cinque anni, ma di dieci. «Negli ultimi cinque anni i mandati con garanzia del capitale e con rendimento minimo hanno reso in media il 2%. Quindi in alcuni casi le compagnie dovranno fare integrazioni per dare quanto garantito», dichiara Chiara Della Nesta di Iama Consulting, che ha elaborato le tabelle sui fondi negoziali pubblicate in pagina. «Su 36 linee garantite, 17 prevedono un rendimento minimo e 19 solo la restituzione del capitale», dice Della Nesta. Per quanto riguarda i minimi garantiti offerti con maggiore frequenza, c’è la copertura del Tfr (prevista da 10 fondi), mentre quattro fondi danno un rendimento minimo del 2% e due fondi del 2,5%. C’è anche un fondo che offre un rendimento variabile in base al tasso massimo consentito dall’Isvap, che oggi è al 2,5% Dal punto di vista dell’asset allocation, prevalgono i comparti bilanciati obbligazionari, pari al 70%. «Nelle linee bilanciate, che gestiscono circa 20 miliardi di euro, i leader sono Eurizon, Pioneer e State Street; mentre nelle linee garantite e con rendimento minimo il leader è Unipol», dice Della Nesta. Unipol gestisce complessivamente 24 mandati per fondi pensione negoziali, di cui 13 per gestioni con garanzia di capitale e di rendimento minimo. Le risorse complessivamente gestite ammontano a 2, 69 miliardi (contro i 2,4 di fine 2010), di cui 1,6 miliardi con garanzia. Assieme a Unipol ci sono appunto Eurizon e Pioneer. Anche lo scorso anno il podio era occupato da queste tre società, ma dall’analisi emerge che i gruppi esteri stanno scalando posizioni, segno che i colossi internazionali, dopo essersi accaparrati un quarto del mercato dei fondi comuni, stanno partendo all’attacco dei fondi pensione. Un business che fa gola per la stabilità della raccolta: Tfr e contributi dei sottoscrittori arrivano in automatico alle sgr ogni mese, come in una sorta di piano di accumulo. Lo confermano i dati di crescita degli asset: da fine 2010 a fine 2011 gli attivi gestiti sono cresciuti del 13%, nonostante un calo di quasi l’1% del numero degli iscritti. Un dato particolarmente interessante in un anno nero per la raccolta delle altre componenti del risparmio gestito. Su tutti spicca State Street Global Advisors, che oggi detiene una quota di mercato (in base al patrimonio) dell’8,24%. Alle spalle di State Street si piazza Amundi, con una quota del 7,5%, davanti alle Generali la cui market share è intorno al 7,3%.Tra i big esteri sale in classifica Credit Suisse con il 4,9%. Tornando all’analisi dei mandati in corso, è utile sottolineare anche il fenomeno dei gestori-ombra, che si verifica quando il mandato viene vinto da una società che lo gira in delega a un terzo asset manager. È il caso, per esempio, di Laborfonds, che ha dato mandato a Unipol ma in realtà il gestore della linea garantita è Jp Morgan Asset Management. Anche sul fronte dei fondi pensione aperti, in base all’analisi Mefop, i gruppi esteri stanno minacciando i big di settore, ossia Intesa Sanpaolo, Arca sgr e il gruppo Generali (si veda tabella a pagina 27). Alle spalle di questi tre big nella classifica per patrimonio gestito si piazzano infatti Allianz, Axa Mps e Amundi. Da anni i gestori aspettano inoltre un ampliamento dell’universo investibile grazie alla revisione del decreto 703/1996, che disciplina i limiti agli investimenti, a oltre quattro anni dall’apertura della fase di consultazione sul documento del ministero dell’Economia. La nuova versione del decreto, attesa a breve, innoverà norme e limiti agli investimenti ormai datati e che di fatto rendono l’asset allocation dei fondi troppo esposta alle azioni e ai titoli domestici con una componente di gestione passiva elevata. «Negli investimenti dei fondi pensione italiani esiste uno stile di gestione di fatto passivo, con una notevole concentrazione sulle attività domestiche a reddito fisso», sottolinea Antonio Finocchiaro, presidente della Covip. «In taluni casi i risultati conseguiti non sono stati positivi e talvolta i rendimenti netti ottenuti sono risultati inferiori al tfr. Non sono condizioni strutturali e quindi perfettamente superabili ». Una maggiore diversificazione comporta anche l’adozione di strutture organizzative capaci di seguire adeguatamente i rischi connessi a un portafoglio più articolato. «Al proposito, gestori e consulenti spingono sovente per aumentare il peso degli asset non tradizionali nel portafoglio dei fondi e probabilmente delle Casse professionali di previdenza», aggiunte Finocchiaro. «L’atteggiamento dei fondi è stato finora di grande prudenza a causa dell’alto costo di tali asset, dei rischi ad essi connessi e della carenza, in alcune realtà previdenziali, di adeguate strutture interne di controllo. È noto», prosegue il numero uno dell’Authority di vigilanza sui fondi pensione, «che da circa due anni la Covip è impegnata a individuare e rendere operative, in collaborazione con il ministero dell’Economia, innovazioni normative, strumenti, metodi e forme più articolate di controllo da parte dei fondi. Ciò al fine di consentire a questi ultimi di cogliere le opportunità che l’innovazione finanziaria e la globalizzazione dei mercati offrono e, quindi, rendere più redditizi, in un quadro di sana e prudente gestione, gli investimenti dei montanti accumulati. I fondi pensione hanno bisogno di impieghi di lungo periodo in grado di tutelarli sia dagli andamenti fortemente erratici dei mercati sia dall’inflazione». In attesa del nuovo decreto 703/96
, proprio la Covip ha emanato a fine marzo uno schema di disposizioni sul processo di attuazione della politica di investimento. Mentre sul fronte della gestione si stanno facendo passi avanti per rendere più moderna l’attività dei fondi pensione, sul fronte degli iscritti sarebbero necessarie iniziative di rilancio da parte del governo perché le adesioni languono. A fine 2011 solo 5,6 milioni di lavoratori e lavoratrici, su una popolazione di circa 23 milioni, avevano aderito a una delle diverse forme previdenziali. La situazione è allarmante soprattutto per i giovani. «La quota di partecipazione delle generazioni più giovani risulta nettamente inferiore alla loro incidenza sul totale della popolazione lavorativa», sottolinea Finocchiaro. «È evidente che molti lavoratori non hanno ancora preso atto di un futuro che vedrà restringersi la copertura offerta dal sistema pensionistico pubblico e ritardano quindi a fare ricorso a forme di integrazione pensionistica che possano proteggerne e accompagnarne la vecchiaia, talvolta confidando nel mantenimento delle attuali condizioni del welfare pubblico». Intanto le sollecitazioni a provvedere per il futuro si vanno moltiplicando da parte di studiosi e istituzioni. L’ultima in ordine di tempo è stata formulata dalla Commissione Europea nel Libro Bianco pubblicato il 16 febbraio sulle pensioni, dove si avverte: «Se uomini e donne che vivono più a lungo non restano anche in attività più a lungo e non risparmiano in misura maggiore per la pensione, l’adeguatezza delle pensioni non potrà essere garantita: l’aumento previsto delle spese si rivelerà infatti insostenibile». (riproduzione riservata)