di Osvaldo De Paolini
Non vuole parlare di rapporti con i grandi azionisti della compagnia. Né vuole commentare le molte illazioni circolate alcune settimane fa sulla vicenda Unipol- FonSai, salvo puntualizzare che «sono state scritte e dette un sacco di cose non vere». Però quando si parla di numeri, soprattutto di quelli relativi all’attività delle Generali nel primo scorcio del 2012, allora il buonumore torna a fare breccia nelle parole di Giovanni Perissinotto, amministratore delegato della compagnia di Trieste e protagonista suo malgrado delle alterne vicende che hanno segnato gli ultimi anni del primo gruppo finanziario italiano. Nemmeno lo sgangherato articolo a firma Luigi Zingales, comparso su un quotidiano il giorno di Pasqua, lo turba più che tanto. E si capisce: in una manciata di righe l’economista è riuscito a concentrare una tale summa di sciocchezze e luoghi comuni che nemmeno il più ansioso dei manager ne verrebbe smosso. Perissinotto sorvola e dice: «Ciò che sta accadendo sui mercati in questi giorni non mi piace. Credo sia necessario muoversi nuovamente con la massima prudenza. Sono però soddisfatto di come il Gruppo Generali ha inaugurato il 2012, dopo aver lasciato alle spalle l’anno più nero». Domanda. Dottor Perissinotto, alcuni numeri delle Generali relativamente al 2011 non paiono granché esaltanti. D’accordo la crisi, ma chiudere con 2 miliardi di svalutazioni e un utile dimezzato non è il migliore dei biglietti da visita. Che cosa la rende tanto soddisfatto? Risposta. Intanto preciso che a fronte di un utile netto di 856 milioni c’è un risultato operativo di 3,9 miliardi. Ciò vuol dire che anche nell’anno peggiore le Generali hanno dimostrato di disporre di un management altamente qualificato e confermato la solidità del business. Se poi confrontiamo alcuni dati di fine 211 con quelli dei primi due mesi del 2012 diventa più chiaro perché manifestiamo soddisfazione. D. A quali dati si riferisce? R. Due su tutti. Il nostro coefficiente Solvency 1 a fine 2011 era a 117%, a fine febbraio di quest’anno era già balzato a 132%; le minusvalenze latenti nette che a fine dicembre ammontavano a 2,2 miliardi, a fine febbraio non solo erano completamente azzerate ma addirittura mostravano un saldo netto positivo di 223 milioni. In altre parole, in soli due mesi il patrimonio netto è aumentato di oltre 2,4 miliardi. Le sembra poco? D. Visti i chiari di luna sui mercati, tra gli azionisti delle Generali c’è però sempre grande attenzione alla composizione del portafoglio. A questo proposito, a fine 2010 avevate annunciato che avreste ridotto le partecipazioni bancarie. E tuttavia nel caso di Intesa avete addirittura implementato la quota partecipando all’aumento di capitale. Per quale motivo? R. Premesso che le partecipazioni bancarie incidono per meno del 6% sul totale degli investimenti azionari del gruppo e solo per lo 0,4% sugli investimenti assicurativi complessivi, la maggior parte di esse erano legate ad accordi di banca-assicurazione, in particolare in Italia e in Germania. Venuti meno tali accordi, quegli investimenti sono rientrati nella normale attività di asset management, collegati a polizze tradizionali il cui sottostante sono investimenti di lungo periodo a fronte di una duration media dei nostri passivi superiore ai 10 anni. D. Ancora non ha detto se la riduzione c’è stata. R. Certo che c’è stata, esattamente come avevamo anticipato a fine 2010. Nonostante l’elevata volatilità dei titoli del settore, abbiamo tagliato la partecipazione in Commerzbank dal 4,22% all’1,33%, nel Santander dallo 0,7% allo 0,58% e, al contrario di quanto si pensa, abbiamo ridotto anche la quota in Intesa. D. Fino a ieri questo passaggio non era molto chiaro. Può essere più preciso? R. La partecipazione in Intesa San Paolo, che in passato era stata anche superiore al 6%, è passata dal 4,92% al 3,27% per effetto della vendita di titoli combinata con l’adesione parziale all’aumento di capitale della banca. Le Generali hanno infatti venduto sul mercato 357 milioni di diritti esercitandone quindi solo 51,8 milioni. La scelta di aderire parzialmente all’aumento è stata fatta solo per quei portafogli assicurativi per i quali essa risultava conveniente. D. Altro capitolo un po’ spinoso è la presenza di titoli del Tesoro greco nel portafoglio, pur avendo le Generali un business residuale in quel Paese. Perché così tanti titoli greci? R. Intanto va sempre ricordato che gli investimenti in titoli greci del Gruppo Generali erano concentrati praticamente solo in due Paesi, Francia e Germania, mercati dove banche e assicurazioni hanno investito massicciamente in queste obbligazioni. D. Ma 3,4 miliardi di controvalore non sono poca cosa… R. Non è secondario precisare che tutti gli acquisti sono avvenuti entro il 2007 e che in ultima analisi si tratta dell’1,5% del totale degli investimenti obbligazionari del gruppo. Inoltre, a fronte di un mercato interno con rendimenti dei titoli governativi modestissimi, quei titoli presentavano cedole superiori al 4% e hanno mantenuto un rating pari ad A3, superiore a quello dell’Italia odierno, fino all’aprile 2010. D. Però la Bce è scesa in campo per attenuare il problema. Perché non avete venduto quei titoli quando Francoforte li stava comprando? R. Lo abbiamo fatto fin che ci è stato possibile. D. Vale a dire? R. Fino al settembre 2010, quando ancora c’era un mercato relativamente liquido, ne abbiamo venduti per circa 1,3 miliardi. Successivamente il mercato si è quasi paralizzato. Se avessimo venduto alle nuove condizioni, avremmo subito ugualmente perdite rilevanti, comparabili a quelle del default. Abbiamo così deciso di tenerli fino a scadenza. D. Anche voi puntavate su un’evoluzione meno negativa della crisi greca? R. Abbiamo pensato che la Ue non avrebbe permesso il fallimento di uno Stato, in contraddizione tra l’altro con tutti gli orientamenti comunitari di Solvency che considerano privi di rischio i titoli governativi. Debbo però aggiungere che non mi risulta ci fossero programmi di acquisto della Bce. D. A chi avete venduto, allora? R. Per loro esigenze di portafoglio, alcuni investitori si sono in via episodica dichiarati compratori. E noi abbiamo servito. D. In che misura le svalutazioni relative ai bond greci si sono riversate sugli assicurati? R. Per nulla o in misura molto modesta. La diversificazione del gruppo e specifiche riserve costituite nel tempo in Francia e Germania, proprio per far fronte a situazioni di stress di questo tipo, hanno permesso di assorbire l’impatto senza quasi incidere sugli assicurati. Basti osservare che i rendimenti dei prodotti francesi sono passati da un tasso medio del 3,8% nel 2010 al 3,2% del 2011 in linea con il mercato. In Germania, poi, i rendimenti si sono mantenuti mediamente stabili tra il 4 e il 4,3% rispetto all’anno precedente e in linea con il mercato (di poco superiore al 4%). D. Ciò non vale per gli azionisti. La presenza dei minimi garantiti fa sì che le perdite siano in parte assorbite anche da loro. R. I rendimenti sono stati ampiamente sopra il livello delle garanzie e in nessun caso sono scattati i minimi garantiti e quindi alcun onere a questo titolo è stato ribaltato sugli azionisti. D. Dica la verità, fa rabbia vedere l’azione Generali così maltrattata in borsa. R. In questi anni tutti i titoli assicurativi hanno sofferto. Generali soffre in particolare a causa delle tensioni sui titoli di Stato italiani, sui quali siamo maggiormente esposti, pur sempre nell’ambito di un gruppo internazionale dove l’Italia conta per meno del 30% del fatturato. Insomma, paghiamo un prezzo che non dovremmo pagare visto che la performance a un anno (-35%) è esattamente que
lla del Ftse Mib. D. Però il vostro titolo non è poi tanto male se confrontato con quelli di Unipol o FonSai. R. Visto quello che c’è in ballo, non ha senso il paragone con Unipol e FonSai. Se però ci confrontiamo da gruppo finanziario con i grandi gruppi bancari italiani, dove le perdite oscillano tra il 45% e il 75%, allora certamente stiamo meglio di altri. E anche il confronto con l’Eurostoxx europeo, considerata la questione del debito italiano, non stiamo peggio della concorrenza. (riproduzione riservata)