«Un terzo degli italiani ricchi, che per lo più sono imprenditori, valuta la possibilità di spostare la sua attività all’estero. In compenso, però, gli altri due terzi credono nell’operato del governo e resteranno, a dispetto della crisi». Questa è la sintesi, fornita a B&F da Enzo Furfaro, market manager di Skandia Vita, dell’indagine Millionaire Monitor+. Un’indagine che la società, specializzata in unit linked destinate a un pubblico sofisticato, conduce ogni anno in sei Paesi nel mondo sulla fascia più ricca della popolazione. Allora, chi sono e dove vogliono andare i ricchi italiani? «In Svizzera prevalentemente – continua Furfaro – e, a seguire, in Usa e Regno Unito, dove si ha la sensazione, privati dalle briglie di burocrazia e pressione fiscale eccessive, che l’attività imprenditoriale sia favorita». I ricchi italiani, il cui patrimonio viene accumulato prevalentemente attraverso eredità, investimenti e reddito da lavoro, e in maniera residuale attraverso matrimonio, divorzio e vincite al gioco, vivono per un terzo in Lazio, per più di un quarto in Lombardia e per il 10% in Campania. «Non è una grossa sorpresa – afferma il manager – l’Italia è il Paese dell’imprenditorialità diffusa e questo spiega l’elevata percentuale di impreditori. Per il resto, la ricchezza accumulata dal lavoro discende per lo più dal settore finanziario, dall’industria, dal marketing e dalle professioni legali». E non sorprende neppure il dato relativo alla volontà di spostare armi e bagaggli oltre confine, viste le tempistiche dell’indagine: a gennaio, quando l’inchiesta è stata realizzata, si iniziavano a vedere i primi effetti della cura Monti, ma la crisi e l’austerità che da essa derivava avevano alimentato un clima di profonda incertezza. «Del rischio Paese all’epoca risentiva tutta la popolazione e le fasce più abbienti in particolare – sostiene Furfaro – Sono certo che se le interviste fossero somministrate oggi i risultati sarebbero diversi e meno improntati al pessimismo». 
Anche perché, che la mancanza di fiducia abbia permeato il sentiment, è evidente anche da un’altra risposta fornita dai rappresentanti del campione: negli ultimi 12 mesi ben il 76% ritiene che la propria situazione finanziaria sia migliorata (il 64% ha visto la propria ricchezza crescere dalla crisi del 2008) e il 66% che la situazione economica generale sia migliorata. Inoltre, addirittura l’87% è convinto che la propria ricchezza aumenterà o resterà stazionaria (ma non diminuirà) nei prossimi dodici mesi e il 78% che la congiuntura sarà più rosea da qui a un anno. «Stiamo parlando – continua Furfaro – di un segmento di popolazione che ha a disposizione più di 900.000 euro di asset investibili, uno dei segmenti che è particolarmente interessante per il nostro gruppo assicurativo e per i prodotti che offre, che sono appunto pensati per loro. Peraltro l’indagine, indicando che queste persone ritengono aumentata la loro ricchezza, ci conferma una tendenza che nel mercato avevamo già subodorato poiché il taglio medio dei premi pagati è cresciuto del 15% negli ultimi dodici mesi». I clienti di cui si occupa Skandia sono evoluti e capaci di accedere a strumenti finanziari sofisticati. «Le nostre piattaforme di fondi – aggiunge Furfaro – sono soluzioni multimanager, dell’ammontare minimo di un milione di euro, ritagliate su misura del singolo cliente e permettono una scelta tra circa 80 case di investimento e 800 tipi di fondi. Skandia opera come selettore e non gestisce, né distribuisce». Le soluzioni della compagnia vengono scelte così non solo e non tanto ai fini di creare un plusvalore, ma anche, spesso, per preservare e trasmettere il patrimonio alle seconde generazioni. I «contenitori» di Skandia all’interno possono racchiudere anche azioni, obbligazioni e commodity. «In ogni caso – conclude Furfaro – gli intervistati investono in media il 19% del proprio patrimonio in immobili residenziali, il 15% in cash e il 12% in fondi. Una parte residuale viene destinata ad arte (2,8%) e commodity diverse dai metalli preziosi (1,4%)».