Unipol tenta di accelerare sul dossier Fondiaria-Sai per fissare i suoi paletti prima che i Ligresti possano muovere in direzione di Sator e Palladio, i due operatori che nei giorni scorsi hanno presentato un piano alternativo per il riassetto del gruppo assicurativo. In tale direzione vanno lette le mosse di ieri della compagnia bolognese, che in mattinata ha riunito un tavolo tecnico con i vertici di Fonsai. Al centro del vertice il piano industriale congiunto che le due compagnie stanno mettendo a punto in vista della fusione a quattro tra Unipol, Premafin, Milano Assicurazioni e la stessa Fonsai. Un progetto di integrazione che potrebbe non essere esente da modifiche, anche sostanziali. In primo luogo, ad esempio, si sta ragionando sulla possibilità di non procedere alla fusione Premafin-Fonsai, in modo da non caricare la compagnia assicurativa anche dell’ulteriore fardello del debito della holding che la controlla al 36% (partecipazione interamente in pegno presso le banche). Se il progetto di Unipol venisse modificato in questo modo, con un annesso beneficio indiretto per il margine di solvibilità di Fonsai (che viaggerebbe già sotto l’80% contro il 120% della soglia di sicurezza individuata dall’Isvap), sicuramente non potrebbero che apprezzare anche Consob e Isvap, impegnate a monitorare attentamente la situazione in attesa di dare il via libera. Tuttavia, ieri, fonti vicine a Fonsai si sono affrettate a smentire che dalle Authority siano mai giunte richieste di escludere Premafin dall’operazione. In secondo luogo, poi, Unipol avrebbe voluto chiudere l’accordo di ristrutturazione del debito della holding che, considerando anche l’equity swap con Unicredit, sfiora i 370 milioni. A riguardo, ieri pomeriggio c’è stato un incontro di circa quattro ore tra la famiglia Ligresti, le banche e l’advisor Leonardo & Co., ma l’atteso accordo non è stato raggiunto. Agli istituti di credito, anche alla luce della lettera di richieste di modifiche inviata da Unicredit (in qualità di banca agente) nei giorni scorsi, è stato proposto un nuovo piano che ora prevede l’emissione di un prestito convertendo a tre anni da 150 milioni e lo riscadenziamento della restante parte di denaro, pari a 220 milioni, in tre tranche, con scadenza, rispettivamente, nel 2016, 2017 e 2018. Secondo quel che si apprende, tra le numerose riserve manifestate, gli istituti di credito avrebbero preferito una scadenza al 2016 sul debito da 220 milioni. Tra i punti in discussione anche gli spread da applicare sui tassi di interesse. Fatto sta che le banche avrebbero dovuto approvare l’accordo all’unanimità e così non è stato. Gli istituti di credito avrebbero chiesto ancora un po’ di tempo e avrebbero preferito riaggiornarsi a breve. Di fatto, la fumata nera di ieri delle banche sul riassetto del debito Premafin lascia margini di manovra a Palladio e Sator, che per la ristrutturazione del gruppo Fonsai hanno avanzato una proppsta alternativa che, tra le altre cose, prevede una ricapitalizzazione di Premafin pari a 450 milioni (400 milioni nel piano di Unipol) e non contempla la fusione tra Fonsai e la controllante. I tempi, tuttavia, sono strettissimi: l’offerta della società vicentina scade l’8 marzo. Non solo: non risulta convocato alcun cda di Premafin da qui a giovedì. E la holding quotata della famiglia Ligresti, a prescindere dalle banche, è l’unica a potersi esprimere in senso positivo nei confronti di Palladio e Sator. Non ci sarebbe di che stupirsi se a risultare spaccato non fosse soltanto il fronte bancario ma anche la stessa famiglia Ligresti. Non a caso, ieri, nell’ambito del giro di incontri con i numerosi consulenti coinvolti nell’operazione, Paolo Ligresti ha dichiarato: «Non fatemi parlare, soprattutto in questo momento. Non fate parlare me». Di recente, qualcuno aveva ipotizzato che il figlio dell’ingegnere preferisse la proposta di Palladio e Sator a quella di Unipol. Poi, però, il cda di Premafin della scorsa settimana non ha preso posizione sul tema dell’offerta alternativa, dichiarandosi incapace di decidere sia per l’esclusiva siglata con la società di Bologna, sia perché le banche creditrici della holding non risultavano essere allineate (e la riunione di ieri lo ha dimostrato). A questo punto, gli istituti di credito dovranno riaggiornarsi a breve anche perché il tempo stringe: l’accordo sul debito dovrà poi essere approvato dai comitati crediti delle banche coinvolte, prima di approdare a un nuovo cda di Premafin.