Uno sguardo dalla Svezia (paese in cui il premier Fredrik Reinfeldt ha invitato pochi giorni fa i connazionali a lavorare fino a 75 anni, l’aliquota contributiva è al 18,50% e oltre il 90% dei lavoratori ricorre a forme di previdenza integrativa) sul sistema pensionistico italiano. A gettarlo Ole Settergren, direttore dell’agenzia delle pensioni dello stato scandinavo, che a margine di un convegno promosso a Roma da Inarcassa, dichiara a IO Sette che «il passaggio al sistema contributivo, come è avvenuto da noi sin dagli anni 90, è necessario, ma probabilmente non è sufficiente perché ciò che davvero serve all’Italia è innalzare l’età pensionabile nel privato, come nel pubblico».
Domanda.
Risposta. È in vigore il meccanismo contributivo per il calcolo della pensione, e oggi è molto ridotta la popolazione che ancora percepisce l’assegno secondo il sistema misto, o retributivo. E il fenomeno delle casse privatizzate, a differenza di ciò che avviene da voi, è estremamente contenuto. So che si discute, nell’ambito della riforma Fornero, dell’ipotesi di fondere gli enti dei professionisti: capisco il punto di vista del governo, che vorrebbe condensare tutta la platea e tutti i rischi in un unico soggetto, ma nel contempo comprendo i timori delle casse di abbandonare il loro assetto attuale.
D. A quanto ammonta, in media, la pensione di un libero professionista che abbia esercitato in Svezia l’attività per almeno 35 anni?
R. Per almeno 35 anni? Vorrà dire per almeno 40, perché da noi è assolutamente improbabile ritirarsi prima di quella soglia. E la somma che si percepisce, in questo caso, va dal 55 a circa il 75% del reddito.
D. Ha una ricetta per il nostro paese?
R. Innanzitutto, ritengo che le informazioni per lavoratori e pensionati dovrebbero essere quanto più chiare e semplici possibili. E, soprattutto, non c’è via d’uscita all’allungamento dell’età pensionabile, a maggior ragione in considerazione della fase di instabilità finanziaria in cui ci troviamo.