Al momento nessuno sa «quanto» cambierà la previdenza dei professionisti dopo la riforma Monti-Fornero. Di sicuro i vertici delle casse del 509 privatizzate nel 1994 hanno intuito che nel 2012 o si aumenteranno di un bel po’ i contributi agli iscritti per restare nel sistema retributivo (già ridimensionato negli ultimi anni ove presente).
Chi resiste. Quelle dei notai e dei farmacisti sono le casse che si presentano con le idee più chiare nel non voler cambiare l’attuale impianto previdenziale. Anche se nei prossimi anni, per effetto delle ultime liberalizzazioni, le cose sono destinate a cambiare anche per loro. Basti pensare che la Cassa del notariato dal 2006 (anno delle prime lenzuolate di Bersani) ha aumentato più volte il contributo soggettivo arrivando, con l’ultima delibera approvata a fine 2011, ad un’aliquota del 33%. Grazie a questa ultima modifica l’ente oggi è sicuro di poter contare sui 50 anni. Ma la legge Cresci-Italia prevede un incremento dei notai in esercizio (da 4697 a 6279). E appare plausibile che con l’aumento dei professionisti diminuirà il reddito medio degli iscritti. Un problema non di poco conto se si considera che la Cassa di categoria sarà chiamata ad erogare una pensione standard per più soggetti (che però al contempo versano meno rispetto al passato). Discorso non molto diverso per l’Ente dei farmacisti. L’ultimo bilancio tecnico al 31/12/2009, fa sapere l’Enpaf, presenta a cinquanta anni il saldo previdenziale positivo. Ma ciò dovrà essere riverificato alla luce del sensibile aumento dei punti vendita e quindi, anche qui, della conseguente riduzione del reddito medio.
Entrando in casa degli avvocati, il comitato dei delegati di Cassa forense ha ritenuto nell’ultima recente seduta di non modificare l’impianto della riforma (in pensione a 70 anni e calcolo della prestazione tenendo conto dell’intero periodo di 35 anni con la sola esclusione dei peggiori 5 anni), ma ha comunque provveduto a nominare una commissione per studiare eventuali misure per il raggiungimento della sostenibilità richiesta dalla legge.
Chi attende studiando. Nel dover dimostrare un nuovo equilibrio, le varie gestioni lamentano la mancanza dei criteri che dovrebbero essere rispettati nel formulare le proiezioni attuariali. Inizialmente, infatti, è stato imposto di non considerare i patrimoni, pur essendo gli stessi accantonati a garanzia delle prestazioni, né tantomeno i rendimenti. Poi questi ultimi sono stati ammessi. Prevedere ora con precisione quali saranno gli sviluppi della questione, spiegano dall’Ente, quando nemmeno il ministero ha chiarito le sue richieste è impossibile.
In attesa che si chiariscano i criteri, la Cassa di architetti e ingegneri studia gli effetti di un possibile cambio di metodo di calcolo delle pensioni. La scorsa settimana, non a caso, ha organizzato a Roma un workshop dal titolo molto evocativo: «Contributivo: esperienze internazionali a confronto». Un momento di approfondimento che ha scomodato perfino Ole Settergren il quale è venuto in Italia per raccontare cosa accade in Svezia, patria del contributivo sulle pensioni (si veda intervista in pagina). Bocche cucite in Cassa dei geometri. Anche se la presenza dei vertici del Cda di Cipag al workshop Inarcassa conferma la ricerca di una soluzione alla questione sostenibilità.
Chi ha non ha dubbi. Se fino a qualche mese fa all’istituto pensionistico dei consulenti del lavoro c’era qualche dubbio residuale, con la riforma Monti-Fornero il passaggio al metodo contributivo è certo. I vecchi scaglioni di contributi, calibrati sull’anzianità di iscrizione, saranno sostituiti da un’aliquota che si aggira intorno al 10-12%. Ha fatto già i suoi conti l’Enasarco, l’Ente degli agenti di commercio, e con i rendimenti del patrimonio l’equilibrio a 50 anni, dicono, è assicurato: anche perché la fondazione è già passata nel 2004 al metodo contributivo. Enasarco, però, applicherà la trattenuta dell’1% sulle pensioni in essere prevista dalla legge.
Dalle parti dei medici le idee sono chiare ma devono fare i conti con la fattibilità di una riforma complessa. La Cassa, infatti, aveva già ipotizzato a fine 2011 una serie di interventi per rientrare nella sostenibilità a 30 anni (prevista dalla Finanziaria 2007). Ma con l’arrivo di Elsa Fornero al ministero del lavoro, il restyling (comunque non ancora approvato dagli organi dell’ente né tanto meno dagli organismi vigilanti) andrà probabilmente ripensato per trovare altri 20 anni di equilibrio. «Proprio il ministro», fa sapere l’ente, recentemente «ha incontrato i vertici dell’Enpam incoraggiandoli a procedere verso l’applicazione, sia pure in pro rata, del metodo contributivo». Su questo versante però l’istituto pensionistico ha le idee chiare in quanto «il sistema vigente retributivo-reddituale, essendo basato sulla valutazione dei redditi dell’intera carriera professionale, è equivalente al contribuivo se supportato da adeguate valutazioni attuariali». Durante l’incontro la titolare del dicastero inoltre ha incoraggiato l’accorpamento tra i diversi fondi facenti capo all’Enpam, nonché a perseguire ulteriormente la riduzione dei costi di amministrazione. Essendo già al contributivo dal 2004, la gestione previdenziale dei ragionieri ha già in cantiere l’aumento contributi (dall’8 al 15%) ed età pensionabile (68 anni). I dottori commercialisti infine, dopo dieci anni di contributivo sono un passo avanti a tutti. Qualche giorno fa i ministeri vigilanti hanno dato il via libera ad una delibera della Cassa dottori che permette di riconoscere agli iscritti un trattamento proporzionalmente superiore a quello calcolato sulla base del solo contributo soggettivo versato, in misura crescente al crescere della aliquota di versamento prescelta, attraverso l’utilizzo di una aliquota «di computo» superiore a quella «di finanziamento».