VITTORIA PULEDDA

Quattro debolezze fanno una forza? La domanda che gira tra gli analisti è tutto sommato questa: nella fusione tra Unipol Assicurazioni, Premafin, Fonsai e Milano assicurazioni, la somma delle problematicità rischia di essere più alta delle sinergie. A partire dal fatto che il colosso con i piedi d’argilla ha comunque una quota di mercato, nel ramo danni auto, intorno al 37%: troppo alta per essere accettata dall’Antitrust. Alcuni report ipotizzano che la nuova entità dovrebbe cedere asset per 3 miliardi di euro nel ramo danni, il che porterebbe ad esempio gli utili prospettici 2013 di Unipol a crescere solo del 15% in più rispetto all’ipotesi stand alone: troppo poco, se così fosse, per imbarcarsi in una vicenda del genere.
E a parte le difficoltà manageriali di guidare il colosso post fusione e i problemi industriali dell’integrazione alcuni ricordano i nodi affrontati da Generali con Ina Assitalia anche dal punto di vista strettamente finanziario la struttura che si va prospettando non è così florida. A partire dal fatto che l’aumento di capitale finora messo sul tappeto, pari a 2,2 miliardi tra Unipol e Fonsai, va in qualche misura ridotto di 400 milioni, che vengono versati nelle casse di Premafin per consentire a quest’ultima di sottoscrivere proquota l’aumento di Fonsai. Ragionando poi con i valori finora noti, la fusione a quattro porterebbe ad avere un debito “aggregato” pari a 2,676 miliardi salvo ristrutturazioni (peraltro inevitabili). Premafin infatti si porta in dote un’esposizione con le banche pari a 322 milioni (capofila Unicredit, ma anche Mediobanca, Banco Popolare, General Electric Capital e Bpm) mentre Fonsai ha un indebitamento totale pari a 1.354 milioni (dati a fine settembre 2011) composto da 1.039 milioni di prestiti subordinati verso Mediobanca e da 314,8 milioni di debiti verso le banche e altri finanziamenti (di cui una parte rilevante legata al settore immobiliare).
A sua volta Unipol intesa come Ugf finanziaria, la holding quotata in Borsa ha passività finanziarie subordinate pari a 1,5 miliardi. Volendo limitarsi alla parte relativa a Unipol Assicurazioni, oggetto della potenziale fusione, l’esposizione scende a un miliardo. Di cui 400 milioni sono prestiti perpetui con Mediobanca e gli altri 600 sono costituiti da due bond quotati con scadenza nel 2021 e nel 2023.
Ovviamente, la parte di debiti a monte, a livello di Premafin, ove andasse in porto l’operazione come annunciato sarebbero oggetto di rinegoziazione con le banche ed è probabile che si vada verso un allungamento e riformulazione delle scadenze. Ma sempre sul tappeto restano, a meno che le banche non li trasformino in parte in azioni (ipotesi non affacciata finora).
Ma le note di criticità non finiscono qui. Non ultimo c’è il trattamento che verrà dato alle varie categorie di azioni coinvolte nell’operazione. Ce n’è per tutti i gusti: le ordinarie, ovviamente, ma anche le risparmio di Fonsai e le privilegio di Unipol. Per quanto riguarda in particolare le azioni di risparmio, è già stato comunicato che in sede di aumento di capitale verranno emessi nuovi titoli, con diritti patrimoniali teoricamente identici agli altri ma anche con differenze notevoli: venendo meno il valore nominale (che sarà abolito, prima del raggruppamento propedeutico all’aumento) la riserva statutaria in termini di dividendi verrà legato al prezzo di emissione. Dunque, ci saranno due categorie diverse di azioni di risparmio (e sembrerebbe di capire che quelle di nuovo “conio” non avranno il diritto al dividendo cumulato per i due anni precedenti, quando la società tornerà a distribuire dividendi) e per quanto riguarda il rendimento di quelle di nuova emissione, alcuni analisti ritengono che la nuova formula legata al prezzo di emissione non sarà particolarmente appetibile. E comunque, almeno nei termini dell’annuncio, è venuta meno la speranza di quanti puntavano ad una conversione delle risparmio in titoli ordinari.