di Carlo Giuro

 

Come rilanciare la previdenza integrativa, strumento sempre più indispensabile in prospettiva per sorreggere il tenore di vita dei futuri pensionati? È la domanda cui dovrà rispondere con urgenza il governo Monti, anche in considerazione dell’estensione pro rata a tutte le categorie di lavoratori dal primo gennaio del metodo contributivo con conseguente ampliamento del gap previdenziale. Non dimenticando che, in ottica di equità, andrebbero valutati quanto meno ulteriori due profili sulla previdenza obbligatoria e di Welfare più complessivo:

– calmierare l’impatto della recessione economica sulla rivalutazione del montante contributivo in maturazione, essendo il parametro di riferimento la media del Prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni;

– considerare il legame tra pensioni e sanità. Se è vero infatti che l’innalzamento dell’età pensionabile si propone di collegarsi all’accresciuta aspettativa di vita, andrebbe considerato correttamente nel Paese reale anche il dato sull’aspettativa di vita in buona salute, che diverge e non poco dal primo. Visto che si guarda sempre più all’Europa, emblematici i dati Eurostat: in Italia se gli uomini vivono in media 78,49 anni e le donne 84,18, le aspettative di vita in buona salute si riducono invece rispettivamente a 65,70 e 66,50 anni con un differenziale di 12,79 anni per gli uomini e 17,68 per le donne.

Tornando alla previdenza complementare, l’obiettivo è quello di incrementare il tasso di adesione ai fondi pensione, pari attualmente a circa il 23% della platea di riferimento. Analizzando le categorie di lavoratori che hanno fino ad ora aderito emerge come siano prevalenti i lavoratori dipendenti (eccezion fatta per il pubblico impiego ancora sprovvisto di organismi previdenziali negoziali di riferimento) e ancora minimali invece le adesioni da parte dei lavoratori autonomi e dei lavoratori flessibili. Il tutto in un contesto che dal 2007 ha visto comunque significative e valide novità normative come l’introduzione del tacito conferimento (silenzio assenso) e il miglioramento delle agevolazioni fiscali. Ecco quali potrebbero essere le possibili riforme.

 

1 Dall’adesione libera a quella volontaria. Può essere utile riflettere sui limiti inevitabili che la volontarietà presenta. Anche in altri Paesi europei dell’Ocse come Gran Bretagna e Svezia si è scelta, dopo un iniziale approccio soft volontario, la soluzione obbligatoria. Il dibattito in corso sta ponderando tra le altre vie anche un’adesione obbligatoria per via contrattuale con il solo contributo del datore di lavoro. Un altra possibilità esposta è quella dell’automatic enrollment, con l’adesione automatica a meno di un rifiuto esplicito da parte del lavoratore. Ulteriore accorgimento potrebbe riguardare poi le modalità di adesione per il tramite del tacito conferimento attraverso un’applicazione generalizzata di tale istituto o attraverso la previsione di periodi più brevi per l’esercizio della scelta. Da valutare anche la possibilità di sospendere il versamento del tfr maturando, a scadenze prefissate, per una volta sola, potrebbe contribuire a rimuovere alcune resistenze psicologiche piuttosto diffuse e ad aumentare la flessibilità delle adesioni. Da capire poi come si tradurrà in pratica la prospettiva di un possibile opting out, vale a dire lo spostamento dei contributi del lavoratore dalla previdenza obbligatoria alla previdenza integrativa. Il decreto salva Italia dispone infatti che il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il ministro dell’Economia e delle finanze, costituisce, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, una Commissione composta da esperti e da rappresentanti di enti gestori di previdenza obbligatoria nonché di Autorità di vigilanza operanti nel settore previdenziale per analizzare, entro il 31 dicembre 2012, eventuali forme di decontribuzione parziale dell’aliquota contributiva obbligatoria verso schemi previdenziali integrativi in particolare a favore delle giovani generazioni, di concerto con gli enti gestori di previdenza obbligatoria e con le autorità di vigilanza operanti nel settore della previdenza.

 

2 Il pubblico impiego. La previdenza dei dipendenti pubblici è ancora scarsamente supportata dall’esiguo numero di strumenti disponibili (il solo Espero per il comparto scuola, sono costituiti ma non ancora pienamente operativi Perseo per Sanità ed Enti locali e Sirio per Presidenza del consiglio e ministeri) e disciplinata dalla vecchia normativa ante 2007, meno vantaggiosa soprattutto dal punto di vista fiscale.

 

3 La fiscalità. Sotto il profilo fiscale è auspicabile la riduzione della tassazione dei rendimenti nella direzione di un sistema Eet (Esenzione contribuzione-Esenzione dei rendimenti-Tassazione delle prestazioni) molto diffuso negli altri Paesi europei. In ogni modo va meglio comunicato anche l’esistente: dalla deducibilità dei contributi (anche per adesione familiari a carico, vantaggi maggiorati per lavoratori prima occupazione dopo il primo gennaio 2007), alla ridotta tassazione dei rendimenti all’11% contro il 20% delle altre rendite finanziarie, al favorevole regime del prelievo sulle prestazioni finali (con aliquota secca del 5% che si riduce in ragione della prolungata permanenza dello 0,30 per ogni anno di durata superiore al quindicesimo). Da non dimenticare poi la esenzione dei fondi pensione dalla neo istituita imposta di bollo.

 

4 La questione tfr. Vanno poi studiati meccanismi di finanziamento sostitutivi del tfr per i datori di lavoro, rimuovendo un limite notevolissimo specie per le piccole medie imprese che rappresentano il tessuto produttivo prevalente del nostro Paese

 

5 Controllo sui contributi. Meriterebbe qualche intervento il tema dell’omissione contributiva attraverso la predisposizione di strumenti che rafforzino e semplifichino le procedure di recupero della contribuzione da parte dei fondi pensione.

 6 Le regole per i gestori. Sul versante della disciplina dei limiti di investimento è necessario un ammodernamento della disciplina di cui al dm 703/96 nella direzione di una maggiore possibilità di diversificazione e una migliore organizzazione nella gestione del rischio da parte dei fondi pensione.

7 Dimensioni e costi. Va prestata adeguata attenzione al profilo dimensionale dei fondi e quello dei costi. Nonostante infatti l’attuale livello dei costi dei fondi pensione italiani risulti nel complesso contenuto, la definizione di una soglia massima dei costi potrebbe indubbiamente forzare un processo di aggregazione con dimensioni ridotte, con effetti favorevoli sulle economie di scala e di gestione e quindi sull’efficienza dell’industria dei fondi pensione.

8 La questione rendita. Sarebbe poi opportuna una razionalizzazione della disciplina delle prestazioni che attualmente sembra improntata a una tendenziale libertà di scelta tra rendita e capitale e un forte deficit culturale del risparmiatore nostrano verso la rendita e il rischio longevità, vero moloch della pianificazione finanziaria del futuro.

9 Vi è poi l’assoluta necessità di migliorare il livello di educazione finanziaria e previdenziale del nostro Paese attraverso nuove campagne formative e informative finalizzate all’alfabetizzazione dei lavoratori e alla crescita di una adeguata cultura previdenziale sia per il pilastro a capitalizzazione ma anche a quello a ripartizione (l’attesa busta arancione scandinava). Il tema è stato inserito come dichiarazione d’intenti nel decreto salva Italia, si rimane in attesa che venga davvero recapitata. (riproduzione riservata)