«Quando un cliente ha come obiettivo quello di proteggere il patrimonio e di mettersi al riparo dalle oscillazioni del mercato è meglio faccia attenzione a non cadere dalla padella nella brace. Si può parcheggiare la liquidità in strumenti previdenziali ma è bene sapere che il concetto di risk-free è stato completamente sconvolto».
Parola di Nicola Meotti, country manager per l’Italia di AllianceBernstein, casa di gestione attiva da oltre 40 anni sui mercati mondiali, che gestisce complessivamente circa 500 miliardi di dollari con più di 600 professionisti e uffici presenti in 40 città e 23 paesi del mondo. «Oggi spesso i clienti, per evitare il rischio di mercato, finiscono per esporsi al rischio di credito dell’intermediario o di controparte. Certo non mancano soluzioni assicurative che includono garanzie, ma bisogna stare attenti a chi garantisce e cosa, due aspetti fondamentali per la corretta valutazione dell’investimento. Ci vuole una gestione attiva che allochi il capitale in modo efficace. Nelle polizze unit linked, per esempio, ci sono rischi di ordine finanziario e assicurativo. C’è infatti un assicuratore che ha il suo merito di credito come qualunque altro operatore sul mercato. Oggi questo tipo di prodotti è gradito alle reti di distribuzione perché, se da una parte rappresenta un elemento di maggiore stabilità, dato che evita oscillazioni dannose per l’investitore, dall’altra soddisfa gli interessi reddituali della rete distributiva, anche grazie al più lungo orizzonte temporale. E le performance sono direttamente legate all’andamento dei mercati: il rischio è dell’assicurato, a meno che si tratti di prodotti con garanzia sul capitale a scadenza».
Le unit linked infatti, diversamente da come è andata per le polizze rivalutabili, sono state letteralmente travolte dalla crisi. Basti guardare ai numeri, dato che non più di un modesto 10%, su circa 2 mila fondi assicurativi, vanta performance positive. Il risultato medio negativo è di circa il 5%. E nel lungo periodo, anziché migliorare, peggiorano. Del resto le compagnie le vogliono vendere, dato che essendo a rischio aperto per gli assicurati, sono un ottimo strumento per far fronte ai requisiti Solvency II. «Il vero problema, comunque, è per chi ha un patrimonio di fascia media. Da un lato le scelte di protezione pura sono costose in termini nominali e negative in termini reali: in altri termini i clienti pagano per avere una protezione sul capitale, mentre chi ha un patrimonio medio e lo vuole far fruttare è di fronte a un bivio: preservarlo o prendersi rischi nell’intento di farlo crescere. Noi abbiamo soluzioni in ambito previdenziale che offrono schemi di allocazione diversificati a seconda delle fasce di età che includono investimenti in attività reali, anche immobiliari. Con l’aumento dell’aspettativa di vita media l’orizzonte temporale è lungo. Il decumulo, insomma, deve coesistere con l’accumulo. Sta di fatto che oggi la fiscalità è un elemento molto importante nella costruzione di un portafoglio di natura previdenziale. Si stanno facendo passi avanti ma sarei contento di vederne altri», conclude Meotti. (riproduzione riservata)
Francesca Vercesi