di Roberto Sommella
Si abbatterà anche sul patto di sindacato di Mediobanca la scure che taglierà 119 poltrone nei cda di banche e assicurazioni assegnate a consiglieri col doppio incarico. È l’immediata conseguenza dell’ormai famigerato articolo 36 contenuto nella manovra economica del governo Monti.
Oltre infatti ai vari consigli d’amministrazione, di sorveglianza e di gestione e ai collegi sindacali, potrebbe essere messo in discussione, almeno nei suoi componenti, anche lo storico accordo di consultazione che lega i principali azionisti di Piazzetta Cuccia (che vede il gruppo A, Unicredit e gruppo Mediolanum, detenere il 12,4% del capitaleMediobanca vincolato, e una lunga serie di soci storici italiani e francesi compresi nelle sezioni B e C). Ennio Doris e Dieter Rampl, che già non potrebbero più sedere nel board di Mediobanca alla luce della norma, ormai in vigore, che vieta ai componenti di un’azienda bancaria la presenza nel cda di una concorrente, per lo stesso motivo rischiano di uscire anche dal consiglio direttivo del patto medesimo. Insomma il terremoto darebbe luogo anche a uno tsunami di ritorno nel salotto buono per eccellenza. Evidentemente tutti i big delle banche stanno prendendo le contromisure, e la stessa banca guidata da Renato Pagliaro e Alberto Nagel ha convocato per lunedì prossimo i suoi legali (guidati da Piergaetano Marchetti) per valutare il da farsi in vista del cda del 22 dicembre. Ma il silenzio che arriva da Palazzo Chigi è quanto meno assordante. L’unica cosa che filtra dalle stanze ora abitate dal premier Mario Monti e dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà, è che la norma ha valore «ordinamentale, costituisce cioè un divieto privo di sanzione, e non dovrebbe comportare la nullità di eventuali deliberazioni in violazione della norma di legge». È comunque una rassicurazione a metà, perché alcune banche, come Mps, hanno invece modificato lo statuto proprio per evitare l’insidia dei doppi consiglieri. Ma a tacere, nello sconcerto generale, è soprattutto la Banca d’Italia che, insieme al ministero dell’Economia, dovrebbe vigilare sul rispetto del divieto. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, Via Nazionale non avrebbe ancora una posizione definita sul tema. Più chiara la posizione dei partiti e degli addetti ai lavori: il Pdl plaude all’iniziativa del governo, la Consob la promuove (il suo presidente Giuseppe Vegas l’ha definita «buona e saggia»), il numero uno di Generali, Gabriele Galateri, è favorevole ma non si sbilancia. Di certo serve anche un piccolo passo indietro per capire quello che è successo. Nel 2009 un’indagine conoscitiva dell’Antitrust, oltre a sottolineare il problema dei doppi incarichi, permise una lettura globale del sistema bancassicurativo italiano. Rileggerla è interessante. Un campione analizzato di 145 società attive in Italia tra banche (83 istituti di credito), assicurazioni (41 compagnie) e società di gestione del risparmio (20 Sgr) dipinge un quadro completo del contesto competitivo del settore. In particolare, i risultati mostrano che il 18,6% delle società analizzate sono caratterizzate dalla presenza di competitor all’interno dell’azionariato; tali società rappresentano il 42,3% dell’attivo totale del campione considerato. La presenza di concorrenti tra i soci appare interessare maggiormente le società quotate rispetto a quelle non quotate. Più precisamente, le società quotate che si caratterizzano per la presenza di concorrenti tra gli azionisti rappresentano il 60,9% del totale, mentre il dato si attesta al 13,7% di quelle non quotate. Se si considerano i dati espressi in termini di attivo totale, il peso delle società che vedono la presenza di concorrenti tra gli azionisti aumenta al 67,3% per le società quotate e si riduce al 5,4% per quelle non quotate. Per quanto riguarda l’incidenza di fenomeni di interlocking directorates (cioè gli incroci di poltrone tra concorrenti), i dati dell’Autorità sottolineano che il 79,5% dei gruppi e imprese prese in esame presenta all’interno dei propri organismi di governance soggetti con incarichi analoghi nelle imprese concorrenti. Tali gruppi e imprese comprendono le principali aziende bancarie e assicurative italiane, rappresentando il 95,9% circa dell’attivo totale del campione. (riproduzione riservata)