Un ciclone sta per abbattersi sui salotti buoni della finanza italiana. Come anticipato ieri da MF-Milano Finanza, con la firma del capo dello Stato apposta sulla manovra salva-Italia del governo Monti è divenuta operativa una norma destinata a sconvolgere il management di banche e assicurazioni: in teoria da oggi, se il decreto legge contenente la misura sarà già pubblicato in Gazzetta Ufficiale, sarà tassativamente vietato a ogni banchiere o assicuratore di sedere in cda o anche organi di controllo di aziende concorrenti.
Una scure affilatissima e anche un po’ cieca che può far perdere posto, gettone di presenza e sicuramente tanto potere a più di 100 professionisti che di solito svolgono il ruolo di consiglieri nell’azienda A ma anche nella B e poi magari si combattono sul mercato a colpi di offerte più convenienti per la clientela. È un colpo al cuore di un certo capitalismo italiano tanto caro a Enrico Cuccia e ai suoi successori, quel sistema di relazioni dove le azioni si pesano e le poltrone si contano. Ora se l’articolo 36 della manovra dovesse sopravvivere così com’è agli inevitabili tentativi di correzione, messi peraltro in pericolo dal possibile ricorso alla fiducia, entrerà aria nuova nei salotti finanziari.
Le cifre del terremoto confermano questa clamorosa prospettiva. Sono infatti 119, numeri e dati alla mano, forniti da una recente indagine sulla corporate governance dell’Antitrust (vedi tabella), i big di banche e assicurazioni che rischiano di dover lasciare almeno un posto per ricoprire solo quello dell’azienda di provenienza. Secondo le ultime rilevazioni del 2010, al lordo degli ultimi cambiamenti, si tratta di 16 soggetti in Generali (su 113 presenti in totale negli organi di governance), 15 in Premafin (su 94), 14 in Intesa Sanpaolo (su 69), 14 in Mediobanca (su 69), 14 in Ubi (su 106), 13 in Unicredit (su 89), 10 in Reale Mutua (su 18), 10 in Bpm (su 87). Parlare di ecatombe della doppia poltrona, pare suggerita al premier Mario Monti anche dall’ex diIntesa ora ministro dello sviluppo, Corrado Passera, è quasi un eufemismo. Anche perché, mentre gli uffici legali si stanno dando da fare per capire l’operatività della norma, dai big del credito è partita una richiesta urgente al governo e alla Banca d’Italia: nelle more della conversione in legge del decreto (planato ieri alla Camera), come si devono comportare con le riunioni degli imminenti consigli d’amministrazione? Non è ancora arrivata risposta da Palazzo Chigi, dove ci si limita a dire che la norma è di natura «ordinamentale» il che farebbe pensare che poi dovrebbero essere gli statuti di banche e assicurazioni a recepirla con convocazioni lampo delle assemblee. Ma è fondamentale saperne di più, per personaggi del calibro di Dieter Rampl, Fabrizio Palenzona ed Ennio Doris, che siedono nel consiglio d’amministrazione diMediobanca e che dovrebbero lasciare il loro posto forse già il prossimo 19 dicembre, perché espressione di società concorrenti di Piazzetta Cuccia. È a rischio anche un altro santone della finanza italiana come Giovanni Bazoli, che da presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo è anche consigliere di Ubi e Mittel. La norma, che afferma in modo un po’ perentorio che «è vietato ai titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo e ai funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari di assumere o esercitare analoghe cariche in imprese o gruppi di imprese concorrenti», è destinata a far discutere, visto che tali intrecci di poltrone sono presenti nell’89% di banche e assicurazioni italiane quotate. Un groviglio che occlude i già stretti colli di bottiglia dell’economia italiana. (riproduzione riservata)