Responsabilità diretta della società se c’è un abuso di potere 
 di Debora Alberici  

 

Società direttamente responsabile verso i soci per gli illeciti compiuti dagli amministratori che, abusando del loro potere, pongono in essere atti per i quali è necessaria l’approvazione dell’assemblea. Così ha deciso la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 25946 del 5 dicembre 2011, ha accolto il ricorso del socio di una grande spa che aveva fatto causa agli amministratori e all’azienda (una banca) per ottenere il risarcimento del danno.

In particolare l’azionista lamentava che i suoi titoli fossero stati trasferiti senza un preventivo accordo fra le parti.

Per questo aveva citato in causa sia l’istituto di credito sia i manager a capo dell’operazione. Il Tribunale di Avellino aveva sancito la responsabilità personale degli amministratori accordando al socio il risarcimento del danno oltre al rimborso delle azioni sottratte. Ma i giudici esclusero la responsabilità della società per l’operazione decisa dai vertici aziendali. La Corte d’appello ha confermato la decisione. A questo punto il socio ha presentato ricorso alla Suprema corte, lamentando una responsabilità diretta anche da parte dell’ente in quanto gli amministratori avevano agito con dolo e abusando dei poteri loro conferiti.

La prima sezione civile della Corte ha accolto la tesi della difesa del socio. Ora la causa tornerà alla Corte d’appello di Napoli che, in diversa composizione, dovrà rivalutare l’intera vicenda alla luce del nuovo principio di diritto affermato in sede di legittimità. In poche parole, ad avviso del Collegio che ha preso le distanze da passe interpretazioni della Suprema corte, «con la responsabilità personale degli amministratori nei confronti del socio, ai sensi dell’articolo 2395 del codice civile, concorre, ai sensi delle regole generali, quella della società».

In altri termini, secondo i giudici, «la responsabilità degli amministratori di società di capitali nei confonti dei soci direttamente danneggiati da un loro atto si estende alla società, ancorché l’atto dannoso sia stato compiuto con dolo o abuso di potere e non rientri nella competenza degli amministratori, bensì dell’assemblea, essenziale essendo soltanto che l’atto stesso sia e si manifesti come esplicazione dell’attività della società, ossia tenda al conseguimento dei fini istituzionali di questa». Nell’87 un altro Collegio della prima sezione civile (sentenza n. 183) aveva argomentato «l’esclusione della terzietà del socio rispetto alla società, e dunque l’esclusione della responsabilità di quest’ultima nei suoi confronti, dalla compartecipazione del socio stesso all’amministrazione, in senso lato, dell’ente, che si esprime attraverso la partecipazione all’assemblea». Secondo i giudici questo argomento oggi non può più essere condiviso perché finisce col negare la stessa distinzione «soggettiva, fondamentale nella teoria della personalità giuridica, fra ente associativo e persone fisiche che lo compongono».