I vertici della compagnia al lavoro per individuare una soluzione che offra una way-out al partner finanziario ma che non annulli gli effetti positivi sul capitale. Tra le ipotesi la scissione della holding
Per ora la costituzione di una newco, cui conferire alcune partecipazioni detenute daFondiaria-Sai in società quotate, cedendone contestualmente una quota di minoranza a un investitore terzo, è solo un’ipotesi di lavoro e non è detto che il piano, finalizzato a liberare capitale e a riportare il Solvency ratio sopra la soglia di sicurezza del 120%, possa trovare concreta attuazione.
L’esistenza di una call in mano a Fondiaria-Sai non comporterebbe particolari profili di criticità di fronte all’esame dell’Isvap, considerato che tale opzione rappresenta solo un diritto e non un obbligo a ricomprare la quota e che dunque nei conti d’ordine della compagnia non dovrebbe essere iscritto alcun impegno verso i soci di minoranza tale da annullare il beneficio apportato in termini di patrimonializzazione. Tuttavia nella bozza dei patti parasociali della newco, sommariamente esaminata dal cda nella riunione di martedì, sarebbe prevista anche una forma di way-out, ancora tutta da definire, per gli investitori di minoranza. E proprio sul modo in cui sarà eventualmente formalizzata tale possibilità di disinvestimento potrebbero celarsi le insidie maggiori ai fini della valutazione dell’Isvap. Appare infatti difficile, se non addirittura impossibile, che ai soggetti che rileveranno il 49% della newco possa essere concessa una put nei confronti di FonSai. Se così fosse, il beneficio in termini di Solvency ratio che l’operazione avrebbe per la compagnia potrebbe infatti venire meno. È dunque più probabile che agli investitori terzi venga concessa un’altra forma di way-out. Quale? Difficile dirlo in questo momento, considerato che il lavoro di approfondimento da parte di Erbetta e del dg Piergiorgio Peluso è solo agli inizi. Da un punto di vista meramente teorico, una delle soluzioni che FonSai avrebbe a disposizione è quella usata dalle Generali per regolare i propri rapporti con il finanziere Petr Kellner nella joint venture Generali Ppf Holding. Come emerso la scorsa primavera, proprio in virtù del forcing di Isvap e Consob, sebbene a partire dal luglio 2014 il tycoon della Repubblica Ceca maturi il diritto di cedere il proprio 49% della joint venture, la compagnia triestina non ha giuridicamente l’obbligo di acquistarlo, ma può scegliere di seguire altre strade per consentire a Kellner l’uscita, come l’individuazione di un nuovo soggetto cui girare la partecipazione o la quotazione in borsa della joint venture. Per questo motivo le Generali, anche a fronte di un lungo confronto con l’Isvap, hanno evitato un’appostazione di bilancio per coprire l’esborso legato all’eventuale (è solo una possibilità e non un obbligo) acquisto del 49% di Kellner. Potrebbe dunque essere questa la strada che verrà seguita anche da FonSai con la newco? Secondo quanto appreso in ambienti vicini al dossier una soluzione del genere non sarebbe nemmeno stata presa in considerazione. Si starebbe invece ragionando sulla possibilità di garantire l’eventuale way-out del socio di minoranza predeterminando l’orizzonte temporale entro il quale la newco dovrà portare a termine la propria missione, che consiste nella valorizzazione degli attivi sottostanti. In base a questa soluzione, sulla quale al momento sono stati fatti solo ragionamenti preliminari e non è stata oggetto di alcuna decisione, se entro quel termine Fondiaria-Sai non avesse esercitato l’opzione call sul 49%, allora la holding di partecipazioni potrebbe essere sciolta, attribuendo pro-quota a ciascun socio attività e passività della società.
La soluzione che i vertici di FonSai intendono perseguire sarà resa nota a breve. Per il 20 dicembre prossimo è prevista un’altra riunione del consiglio di amministrazione. Lunedì 5 dicembre, invece, dovrebbe tenersi l’incontro tra Gerardo Braggiotti, che assiste Salvatore Ligresti nella ristrutturazione del debito di Sinergia e ImCo, e le banche creditrici, tra cui la più esposta è Unicredit. (riproduzione riservata)