«Mario Monti dovrebbe fare il possibile per recuperare una seggiola a Bruxelles». Lo ha detto Mario Deaglio, docente di Economia internazionale all’università di Torino, ieri alla presentazione del sedicesimo Rapporto Einaudi e Ubi Banca dedicato alla «Crisi che non passa». «Se in Europa non c’è l’Italia, le possibilità che il sistema si frantumi sono molto maggiori», ha aggiunto.
Anche perché «l’impressione generale è che l’asse franco-tedesco mostri una certa miopia. È sempre più difficile trovare un politico che sappia leggere un bilancio dello Stato, non solo a Roma». Quanto all’Italia, ha messo in rilievo il docente, «non è in buone condizioni e non può più permettersi la malattia del debito», ma si trova al centro della crisi «per il convergere di questioni congiunturali e politiche. Il Paese è un gigante malato, ma tutto sommato stabile rispetto a Stati come la Francia, i cui fondamentali economici si stanno deteriorando più velocemente». Il nuovo esecutivo dovrebbe pensare al problema della disoccupazione: sarebbero quasi 6 milioni i disoccupati totali, se si sommassero a quelli ufficiali i cassintegrati (calcolati convertendo le ore in persone equivalenti) e i disponibili al lavoro. Deaglio ha delineato quattro possibili scenari a lungo termine. Il primo è il «futuro radioso», un quadro in cui la crescita nei Paesi ricchi, nonostante le difficoltà degli ultimi anni (si veda grafico in pagina), torna su tassi del 3-4% anche con un ruolo forte dell’innovazione. In questo scenario l’inflazione è sotto la soglia del 2%, il ritorno dell’ottimismo allenta tensioni sociali mentre equilibri internazionali più sereni favoriscono la riduzione delle spese militari. Il secondo scenario punta invece su «compromessi» inflazionistici: «Sono difficili ma possono funzionare», ha precisato Deaglio. In questa cornice la crescita nei Paesi ricchi non recupera i livelli precedenti, ma in termini nominali, la crescita mancante si recupera con l’inflazione. Nonostante le spinte protezionistiche, la regolamentazione dei mercati rimane efficace, pur in un clima internazionale non disteso e dominato da un contrasto di fondo tra debitori (favoriti dall’inflazione) e creditori (nella situazione opposta). Il terzo scenario è definito come quello dell’«insolvenza programmata» in cui, in presenza di una crescita dei Paesi ricchi «eccezionalmente bassa», alcuni governi procedono «alla ristrutturazione unilaterale dei debiti pubblici» creando in certi casi le «condizioni per una nuova partenza». In ogni caso, in una situazione simile, il clima internazionale non è disteso, il mercato globale è a rischio e le tensioni sociali portano a esiti politici incerti. Il quarto scenario è il più temibile: «la tempesta perfetta». Pochi investimenti, crescita scarsa della produttività, inflazione fuori controllo, mercato globale in frantumi con un ritorno al baratto (come già avviene tra Cina e alcuni Paesi africani, che scambiano tra loro infrastrutture e materie prime) sono gli ingredienti di un cocktail micidiale seppure dalla remota possibilità di realizzarsi. Gli ultimi due scenari causerebbero automaticamente la fine dell’euro, ma per Deaglio i primi due restano i più probabili. (riproduzione riservata)