L’Autorità fiscale statunitense (l’Internal revenues service o Irs), facendo leva sull’appetibilità del mercato Usa, vorrebbe obbligare de facto i soggetti finanziari esteri come banche, broker, trust, private bank, compagnie di assicurazione e asset manager che mantengono e vogliono continuare ad avere rapporti finanziari con clienti americani – in conto proprio o conto terzi – a comunicare i nomi e le movimentazioni dei potenziali evasori statunitensi intestatari di un conto presso il loro istituto.
Le nuove norme Fatca (Foreign account tax compliance act) perseguono il medesimo obiettivo della normativa in essere denominata Qualified intermediares (Qi), ma ne estendono notevolmente il perimetro di azione a tutti i soggetti finanziari, inclusi i fondi di investimento e le assicurazioni, nonché l’efficacia in quanto si applica a tutti i soggetti finanziari, anche se non detengono conti negli Stati Uniti e la ritenuta si applica a tutte le transazioni legate agli Stati Uniti. Le regole sono state infatti pensate per individuare e scoraggiare l’evasione fiscale offshore da parte di cittadini o residenti negli Usa e impongono dal 1° gennaio 2014 a chi dovesse decidere di non aderire, una ritenuta alla fonte del 30% su tutti i pagamenti soggetti a ritenuta d’acconto di origine americana effettuati a favore di soggetti esteri. Conseguenza diretta sarebbe che qualsiasi investimento in asset Usa diverrebbe poco conveniente – ad esempio il rimborso di un T-bond per un importo di 100 mila dollari sul conto corrente di un investitore italiano presso una banca italiana sarebbe soggetto a una ritenuta alla fonte di 30 mila dollari.
L’adeguamento alle norme americane – i cui regolamenti attuativi sono attesi per il primo semestre del 2012 – prevede i primi adempimenti già a partire dal 2013 e richiederà non meno di 18-24 mesi per un costo che potrebbe in taluni casi superare cinque euro per cliente con impatti invasivi su tutta la struttura – dai sistemi informativi ai contratti con la clientela. L’entità di tali impatti e relativi tempi di realizzazione potrà variare in funzione di estensione geografica, modello di business e integrazione operativa di ciascun soggetto interessato.
Questo in sintesi è quanto emerge da una recente analisi che ha coinvolto i principali operatori finanziari internazionali e dalla quale emerge che tale normativa porterà a un radicale cambiamento nei loro rapporti con il fisco statunitense. In particolare l’accordo si declina in una serie di obblighi che gli operatori (Foreign financial institutions) si assumono nei confronti dell’Irs e che incideranno su molte aree operative, dal front al back office, quali per esempio:
· identificazione e gestione del cliente;
· gestione della documentazione;
· generazione dei repor per il fisco Usa;
· gestione della tassazione prevista e relative eccezioni.
Si comprende subito come questi impatti possano influenzare l’attuale operatività dei diversi soggetti, e quanto sia strategica una loro valutazione tempestiva ai fini della determinazione della società del gruppo soggetta alle nuove norme, della rifedinizione strategia commerciale, della scelta dei dati dei clienti da raccogliere e recuperare, delle procedure operative e informatiche da rivedere e aggiornare, delle nuove responsabilità da assegnare all’interno e dei contratti da modificare.
A oggi, solo i maggiori operatori bancari italiani hanno avviato la valutazione dell’impatto della nuova normativa e dei cambiamenti che dovranno essere intrapresi. Nel mercato si osserva infatti un certo ritardo, dal momento che gran parte degli intermediari finanziari ha probabilmente sottovalutato il periodo di tempo e gli investimenti necessari, escludendo tali attività dalla pianificazione dei budget finanziari e tecnici dei prossimi due anni. Il rischio è di trovarsi impreparati da un punto di vista normativo e finanziario, oltre che operativo. Per esempio la tendenza dei soggetti assicurativi alla luce di una non ancora chiara esplicitazione della normativa specifica nei loro confronti, a meno di qualche eccezione, rimane di attesa con il rischio di avere poi solo 12-18 mesi a disposizione per l’adeguamento nonostante un impatto atteso verosimilmente più elevato rispetto ad altre tipologie di operatori.
Alla luce della portata dell’impegno e dei costi richiesti dalla nuova normativa all’industria finanziaria europea e alla clientela, la Commissione europea ha aperto un confronto con gli organi legislativi degli Stati Uniti per individuare le più appropriate modalità di collaborazione. L’Unione europea concorda naturalmente con l’esigenza del Dipartimento del Tesoro statunitense di mettere in atto misure a supporto dei contribuenti statunitensi e di motivarli a dichiarare correttamente le loro tasse cercando di garantire che l’impegno richiesto sia proporzionale ai benefici che si vogliono ottenere. Ma seppur qualche affinamento sia ancora in corso di definizione, ormai questa specie di drone finanziario fiscale è già decollato. (riproduzione riservata)
* partner e director di Pwc Advisory