Intesa e Unicredit giù del 15,8% e del 12,4%. Dopo il diktat dell’Eba sulle nuove ricapitalizzazioni ritorna l’ipotesi di un ingresso della Cassa depositi e prestiti nel capitale degli istituti. La Fabi: «Una valida alternativa ai Tremonti bond»
Potrebbe essere la Cassa depositi e prestiti la carta giocata dal Tesoro per correre in soccorso del sistema bancario in vista delle nuove ricapitalizzazioni, pari a 14,5 miliardi, imposte da Bruxelles. L’ipotesi, secondo quanto risulta a F&M sarebbe tornata allo studio dei tecnici di Via XX Settembre. E questa volta, anche alla luce del recente intervento dell’Eba (l’Authority Ue), potrebbe essere l’unico strumento in grado di togliere le castagne dal fuoco dagli istituti italiani che ieri, ancora una volta, hanno dovuto fare i conti con la Borsa, chiudendo nuovamente in picchiata, con flessioni anche a doppia cifra. Così ai piani alti della finanza l’ipotesi già ventilata lo scorso marzo torna a farsi strada: la partecipazione della Cassa depositi e prestiti agli aumenti di capitale degli istituti. Una soluzione che vede in pressing anche il sindacato bancario della Fabi. E l’idea, secondo indiscrezioni, avrebbe già incontrato il favore di molti banchieri. «Il sistema nel suo complesso – osserva in una nota il segretario generale, Lando Maria Sileoni – deve reagire. La necessità e l’urgenza di attingere a nuovi fondi, per garantire un adeguato sostegno all’economia, dovrà comportare la possibilità di utilizzare risorse, come ad esempio la liquidità della Cassa depositi e prestiti, che, in concorso e combinazione, riportino il patrimonio di vigilanza nei limiti stabiliti». L’auspicio di Sileoni, come lo stesso segretario generale della Fabi spiega a F&M, è che «la proposta possa essere letta bene dalle banche. Del resto, si tratta di un progetto fattibile dal punto di vista tecnico». La Cdp è posseduta per il 70% dal ministero dell’Economia e per la restante parte del capitale da 66 Fondazioni di origine bancaria. Queste ultime, tra l’altro, in molti casi azioniste di peso di quelle stesse banche che si trovano alle prese con il nodo delle ricapitalizzazioni, stanno incontrando grosse difficoltà a reperire il denaro necessario per non diluirsi nella compagine soci. Quanto alle soluzioni tecniche che permetterebbero l’intervento della Cdp, nei mesi scorsi era stata ventilata la possibilità di una emissione di titoli da parte del Tesoro, per finanziare le operazioni, con un accesso della Cassa al capitale delle banche limitato ai soli eventuali diritti inoptati che dovessero scaturire dalle ricapitalizzazioni. Resta il fatto che, ancorché in forma indiretta, lo Stato potrebbe mettere di nuovo un piede nel capitale degli istituti di credito. Soltanto due giorni fa, il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, aveva lanciato l’allarme su una possibile nuova nazionalizzazione delle banche del Belpaese. «Si tornerebbe indietro di 30 anni», aveva messo in guardia Bazoli. Eppure, per Sileoni, la possibilità di un ingresso della Cdp nell’azionariato dei gruppi finanziari non dovrebbe implicare una loro nazionalizzazione. «Non si andrebbe – sottolinea il segretario generale della Fabi – a modificare la struttura delle aziende di credito. L’utilizzo della liquidità della Cdp va pensato come una possibile alternativa ai Tremonti Bond». Ieri, intanto, a Piazza Affari, dopo le forti perdite della vigilia, si è chiusa una nuova giornata di passione per le banche italiane. Il gruppo più penalizzato è stato quello più esposto ai titoli di Stato italiani: Intesa Sanpaolo, in picchiata del 15,8% a 1,087 euro, ormai a ridosso di quota 1 euro. Chi da tempo è già scesa al di sotto di questa soglia è Unicredit, che ha chiuso con un calo a doppia cifra del 12,44% a 0,7425 euro. Per le due banche si è trattato della flessione maggiore di sempre messa a segno in una sola seduta. Con questi mercati, tra l’altro, sembra sfumare sempre più la possibilità che l’aumento di capitale che a breve Piazza Cordusio dovrà avviare (L’Eba ha individuato carenze per 7,38 miliardi) sia annunciato già a metà novembre, in corrispondenza della trimestrale. Flessione a doppia cifra, ieri, anche per la terza banca italiana, Mps, che ha ceduto il 10,2% a 0,3038 euro.