Con il differenziale Btp-Bund che ha toccato il record di 455 pb, a Milano il titoloIntesa Sanpaolo è scivolato del 16% e Unicredit del 12%. Ma i colossi di Francia e Germania, promossi in Europa, non hanno fatto meglio
di Lucio Sironi
Nel giorno di Ognissanti anche in Paradiso devono essersi presi un giorno di vacanza lasciando i mercati senza protezione. L’effetto è stato quello di una seduta in cui si sono volatilizzate quelle certezze che parevano, qualche giorno fa dopo l’accordo di Bruxelles, avere posto le basi per un’uscita dal tunnel dei debiti sovrani.
Se nei giorni scorsi a mettere di malumore gli investitori era bastata la prolungata assenza di dettagli sull’accordo Ue, ieri a far crollare la fiducia è stata la decisione unilaterale del premier greco, George Papandreou, di indire un referendum sul pacchetto di aiuti proposto dall’Unione europea, in cambio dei quali i cittadini del Paese ellenico saranno chiamati a sostenere forti sacrifici, tra cui l’haircut del 50% sul valore dei titoli di Stato (misura questa che colpisce però anche gli stranieri). Dal momento che in Grecia l’opposizione alle misure di austerità è tutt’altro che trascurabile, è chiaro che in questo modo si mette in discussione l’intera operazione di salvataggio e, secondo molti commentatori, si minaccia la stabilità finanziaria dell’Eurozona. Del resto la prospettiva del referendum presenta solo svantaggi, in quanto anche una vittoria del sì, con il relativo consolidamento del fronte pro-euro, arriverebbe in tempi lunghi, incompatibili con quelli dei mercati che sarebbero sottoposti a un nuovo stillicidio di incertezze.
Di qui la violenta reazione dei mercati, dove i cali, che hanno cominciato a farsi vedere da venerdì 28 (dopo la risposta positiva del giorno prima ai verdetti dell’Eba sul grado di affidabilità delle banche del Vecchio Continente) sono stati molto pesanti sia in Europa che, in serata, a New York.
Piazza Affari è stata la peggiore tra le principali borse europee con uno scivolone dell’indice Ftse Mib del 6,8% a 14.928, a fare da contrappunto allo spread tra i titoli di Stato italiani e tedeschi che ha proseguito la sua ascesa toccando un nuovo massimo dall’introduzione dell’euro a 455 punti base sul decennale (si consideri che lo spread da inizio 2011 è schizzato quasi del 145% e in un anno del 212%). Tutto questo malgrado siano proseguiti i timidi acquisti di titoli di Stato periferici da parte della Bce (vedere articolo a pagina 4).
Se Roma piange, il resto d’Europa ha davvero poco da ridere. La borsa di Parigi ha perso il 5,3%, Francoforte il 5%, Madrid il 4,2%, Zurigo il 2,5% e Londra il 2,2%. E in serata anche Wall Street ha recepito questa chiara impostazione pessimistica, con l’indice Dow Jones che è scivolato del 2,48% e il Nasdaq del 2,89%.
L’Italia rimane dunque al centro degli attacchi speculativi per la sua vulnerabilità sul fronte del debito pubblico e anche su quello politico. Ieri in molti hanno notato il silenzio dei maggiori esponenti di governo in una giornata festiva sì, ma anche molto difficile, che peraltro ha coinciso con l’insediamento di Ignazio Visco alla guida della Banca d’Italia e di Mario Draghi a capo della Banca centrale europea. Allo stesso modo si faceva notare come i governi di Francia e Germania abbiano già fissato una serie di appuntamenti per discutere come affrontare la delicata situazione dell’eurozona mentre in Italia la reazione è stata avvertita come più lenta. Una sensazione che verso le ore 18 ha indotto Palazzo Chigi a emettere un comunicato per assicurare in merito a «consapevolezza, rigore e tempestività» con cui il governo intende muoversi nel far fronte alla situazione. Per accelerare rispetto agli impegni presi nella lettera inviata all’Europa, il premier ha tenuto ieri sera una riunione con i ministri economici e altri per fare il punto della situazione.
In borsa a pagare il conto più salato delle rinnovate incertezze provenienti dal fronte greco sono state ovviamente le azioni delle banche. Ma lo spettro del referendum di Atene (che alcuni rappresentanti dei vertici Ue cercheranno di rintuzzare già oggi con un incontro con il leader greco a Cannes alla vigilia del vertice del G20) ha avuto l’effetto di far passare in secondo piano, almeno per ora, la querelle tra banche italiane e straniere scoppiato dopo i giudizi emessi dall’Eba nella serata di mercoledì 26 sulle rispettive situazioni patrimoniali rispetto ai rischi. Se nelle giornate di giovedì 27 e venerdì 28 ottobre gli istituti di credito tedeschi e francesi, promossi dall’Eba, avevano beneficiato di robusti progressi nell’ordine del 15-25% a differenza di quelli italiani, per i quali sono state chieste nuove ricapitalizzazioni, sia lunedì 31 che ieri il trattamento da parte degli investitori non è stato troppo dissimile, con vendite pronunciate su tutti i fronti.
Ieri a Milano certo le cose non sono andate bene. Basti dire che il titolo Intesa Sanpaolo è arrivato a perdere il 15,8% precipitando di nuovo a 1,087 euro, e cheUnicredit è scivolato del 12,4%. E sempre tra i finanziari la giornata ha lasciato segni pesanti anche su FonSai (-11,5%), Mps (-10,2%) Banco Popolare (-9%), Azimut (-8,4%), Popolare Emilia Romagna (-7,6%) e Ubi (-6,8%). Quanto alla Popolare di Milano, è arretrata di un ulteriore 7,8% nel secondo giorno dall’avvio dell’aumento di capitale da 800 milioni, mentre i diritti sono caduti di un altro 20,7% a 0,54 euro. Ma anche sulle altre piazze europee i titoli bancari e finanziari sono stati subissati dalle vendite, pagando la loro maggiore esposizione, rispetto alle concorrenti italiane, sui titoli pubblici dei Paesi periferici come appunto la Grecia. Il che porta qualche ragione dalla parte di quegli esponenti del mondo creditizio italiano che nei giorni scorsi hanno protestato con fermezza di fronte a giudizi che a loro parere penalizzano oltremisura le banche italiane minimizzando invece i punti deboli di quelle straniere. Sotto questo aspetto il mercato negli ultimi due giorni ha fatto giustizia emettendo i suoi verdetti tutt’altro che benevoli. Ieri in particolare sono state le banche francesi e tedesche a subire le maggiori cadute: alla borsa di Parigi le azioni di Axa, Bnp Paribas e Crédit Agricole hanno accusato un colpo attorno al 13% e Société Générale del 17%; a Francoforte i titoli Allianz e Commerzbank sono arretrati del 9,5% e Deutsche Bankdel 7,7%; a Madrid i due colossi iberici, Bbva e Santander, sono scesi del 6,3% e del 7,3%, mentre Ing ad Amsterdam ha fatto -15,3%. A Londra, infine, Hsbc e Standard Chartered sono state tra le poche a contenere le flessioni, mentre Barclays ha perso il 9,6%, Rbs l’8,2% e Lloyds Bank il 5,4%.
A Zurigo Ubs ha ceduto il 4,9%, le compagnie Zurich e Swiss Re il 5,8 e 5,6%, mentre peggio è andata a Credit Suisse in ribasso dell’8,2% a causa dei deludenti conti trimestrali, comunicati proprio ieri. Il colosso elvetico ha registrato numeri sotto le attese degli analisti nonostante un aumento del 12% dell’utile netto a 683 milioni di franchi dovuto a una plusvalenza contabile sul proprio debito pari a 1,29 miliardi. A pesare è stata però la forza del franco, ma il cfo David Mathers ha messo le mani avanti ipotizzando che a penalizzare le performance nei prossimi mesi interverranno anche i bassi tassi d’interesse, la modesta crescita economica e le sempre più severe normative bancarie svizzere. (riproduzione riservata)