La raccolta dei fondi comuni di investimento italiani dal 2000 ad oggi si è ridotta di circa il 60%. Dopo un grande successo di questo strumento finanziario la cui raccolta a partire dal 1983 e fino all’anno 2000 era stata travolgente (anche perché hanno surrogato la modesta raccolta dei fondi pensione) raggiungendo 1000 miliardi di euro nel 2000, da quell’anno è iniziata una fase di declino per cui attualmente la massa di risparmio disponibile si aggira sui 400 miliardi di euro.
La cosa è ancora più grave perché questo declino è avvenuto non solo negli anni di crisi borsistica 2001-2002 e successivamente 2008-2011, ma anche negli anni buoni e cioè dal 2003 al 2007, anni nei quali per altro negli altri principali paesi è stata registrato un notevole aumento della raccolta dei fondi.
Come spiegare questa anomalia italiana?
Forse con il fatto che la legge istitutiva dei fondi del 1983 non era ben fatta ?
Io non credo che questo sia il motivo poiché, anzi, tale legge ha reso questa industria molto trasparente e non soggetta a scandali e a frodi che hanno interessato, invece, i fondi comuni di investimento in altri paesi come gli Stati Uniti.
A mio avviso, il motivo principale consiste nel fatto che questi fondi sono stati venduti, da un lato, e interpretati dai risparmiatori, dall’altro, nella stessa ottica in cui il presidente della Avon parlava dei prodotti della sua società: «Noi non vendiamo cosmetici, vendiamo sogni».
In realtà nella finanza vale il principio per il quale tutte le attività finanziarie rendono allo stesso modo se ponderate per il rischio.
La speranza cioè di ottenere risultati mirabolanti affidandosi ad esperti di gestione del risparmio era destinata a essere smentita dalla realtà, causando una susseguente avversione nei confronti della gestione professionale del risparmio. L’unica cosa che possono fare i professionisti in questo campo è quella di proteggere il risparmiatore contro gli errori peggiori che esso può fare gestendo personalmente il proprio denaro in un’ottica di entusiasmo sui massimi di prezzo e di depressione sui minimi. La protezione è, quindi, il vero valore aggiunto della gestione del risparmio piuttosto che la performance che è sempre condizionata dal rapporto rendimento/rischio e dall’andamento dei mercati.
A questa prima causa di scollamento fra le attese e i risultati se ne aggiungono molte altre, fra cui quella per cui l’industria dei fondi in Italia è di proprietà quasi esclusivamente delle banche e delle assicurazioni. Si tratta di due soggetti pronti a preferire i loro interessi a quelli delle società di gestione del risparmio (Sgr) da essi stessi possedute.
Altre cause quali conflitti di interesse, eccesso di commissioni, preminenza data al conto economico della Sgr rispetto agli interessi dei sottoscrittori dei fondi costituiscono fattori minori, anche se non irrilevanti, nello spiegare la disaffezione dei risparmiatori italiani verso questo strumento di gestione dei loro patrimoni. Disaffezione che rischia di continuare.