L’Europa continua a navigare a vista nel tentativo di rilanciare l’economia. I singoli stati, la Bce, la Commissione europea lanciano messaggi non tranquillizzanti e propongono ciascuno una formula messianica per salvare euro, banche ed economie, ma il tempo passa, il vertice europeo del 22 e 23 si avvicina e le soluzioni condivise sembrano ancora lontane.
Nel suo bollettino mensile, ieri, la Bce è tornata a mettere in guardia dai gravi rischi insiti nel coinvolgimento degli investitori privati negli sforzi di aiuti a favore della Grecia: può mettere a repentaglio la stessa «reputazione» dell’euro e in ogni caso va fatto senza nessuna forma di «coercizione».
Un chiaro messaggio alla bozza di piano presentata mercoledì dal presidente, Josè Manuel Barroso e che ha suscitato una valanga di critiche.
Il numero uno di Deutsche bank, Josef Ackermann, in linea con la Bce, ha evocato perfino il rischio che il piano Ue possa provocare un prosciugamento del credito, se operato in parallelo a un pesante taglio dell’effettivo rimborso sui pagamenti dei titoli di stato della Grecia. Da giorni circolano ipotesi sulla possibilità che a fronte del 21% di «haircut» previsto dal secondo piano di aiuti alla Grecia, questo colpo di scure, che servirebbe materialmente per far contribuire anche gli investitori privati agli aiuti al paese, potrebbe toccare, se non superare, il 50%, rispetto al valore nominale dei bond. Dal canto suo, la Bce ha rilanciato una raccomandazione che avanza da mesi: questo eventuale contributo può esserci esclusivamente su base volontaria; è «fortemente sconsigliata qualsiasi soluzione che comporti elementi di coercizione». L’istituzione di Francoforte, guidata da Jean-Claude Trichet, ha notato innanzitutto come sia «probabile che la partecipazione del settore privato abbia ripercussioni negative dirette per il settore bancario nell’area euro. Esercita pressioni significative sulla solvibilità delle banche e delle altre istituzioni finanziarie private del paese interessato, ma rischia di produrre un impatto sui bilanci delle banche negli altri paesi dell’area. Ciò potrebbe dare luogo alla necessità di effettuare ricapitalizzazioni bancarie su larga scala. In secondo luogo, per la Bce, «il contagio al resto dell’area può avvenire per il tramite degli effetti di fiducia.
La Bce ha lanciato un ulteriore monito ai paesi periferici. Quelli «vulnerabili» alle tensioni dei mercati «devono essere pronti ad adottare eventuali misure aggiuntive» sul risanamento dei conti pubblici. Il richiamo riguarda innanzitutto Grecia, Irlanda e Portogallo, ma anche Italia e Spagna. Le ricapitalizzazioni forzose non piacciono poi alle banche. Quelle tedesche hanno eretto un muro contro la proposta della Commissione europea, che rischia di «aggravare la crisi», come hanno scritto in una lettera aperta recapitata al ministro delle finanze di Berlino, Wolfgang Schaeuble.
Quindi l’Europa resta in altomare e poco conta che ieri il parlamento slovacco, come per altro previsto, abbia approvato, in seconda battuta, a larga maggioranza, l’adeguamento del fondo salva-stati. Perché è sulla natura di quest’ultimo che è in corso un’altra battaglia feroce, soprattutto tra Francia e Germania. Una battaglia che porterà, si spera, a una soluzione solo a ridosso del vertice.
In discussione c’è la visione francese, che vorrebbe trasformare il fondo (Efsf) in una banca, nonostante la ferma opposizione di Germania e Bce, mentre si fa strada la possibilità di permettere al meccanismo di fungere da assicuratore sul debito sovrano, così come proposto, nei giorni scorsi, dall’a.d. di Allianz. Il tema delle ulteriori modifiche del Fondo, che dovrebbero permettere allo stesso di raggiungere una capacità di prestito effettiva tra i 2.500 e i 3 mila mld euro, sarà sul tavolo dei ministri delle finanze dell’Eurozona al vertice del 23 ottobre.