Rischi bassi, ma commissioni di gestione superiori alla media 

 Pagina a cura di Duilio Lui  

Un occhio rivolto alla crescita del capitale; l’altro indirizzato al desiderio di protezione in caso di imprevisti. È la combinazione di ragioni che solitamente porta a scegliere le polizze vita come forma di investimento: una soluzione che, almeno nelle formule tradizionali, si addice a chi vuole ridurre i rischi ed è disposto a versare in cambio commissioni più elevate rispetto a fondi comuni e azioni.

 

Le caratteristiche dell’investimento.

Molto diffuse per tutti gli anni 80 e 90, le polizze vita hanno subito una frenata nei primi anni di questa decade, coincisa con la fine della fiscalità di favore, ma stanno tornando in auge negli ultimi tempi, complici i problemi che caratterizzano il mercato dei bond. Tecnicamente si tratta di un contratto stipulato tra un cittadino e una compagnia assicurativa: il primo paga un premio alla seconda, che si impegna a liquidare al beneficiario un capitale in un’unica soluzione o attraverso una rendita, al momento in cui si verifica un accadimento relativo alla vita dell’assicurato.

 

Le gestioni separate. Sotto la comune denominazione di polizze vita rientrano varie tipologie di prodotti che è bene conoscere, almeno nelle caratteristiche principali, per evitare scelte avventate. Le polizze vita di Ramo I e di Ramo V, per esempio, abbinano alcuni contenuti assicurativi con l’obiettivo di crescita del capitale. Un risultato al quale si punta attraverso una gestione separata, in cui confluiscono i versamenti dei clienti. Di solito questi prodotti offrono un rendimento minimo garantito, e per farlo investono buona parte del portafoglio su strumenti finanziari a basso rischio, come i titoli di Stato emessi da paesi a elevato rating. Essendo questi ultimi caratterizzati da bassi tassi di interesse (almeno da qualche anno), non c’è da attendersi da questa scelta performance astronomiche, per cui si tratta di un investimento adatto ai cassettisti, che puntano in primis a salvaguardare il valore reale dell’investimento. Non è detto, comunque, che il risultato venga centrato, anche perché le polizze hanno mediamente caricamenti compresi tra il 5 e il 7%, che abbattono notevolmente il guadagno per l’assicurato. Per un piccolo risparmiatore che investe in maniera prudente, dunque, le polizze possono rappresentare un’opportunità per diversificare il portafoglio e proteggersi dai rischi, ma non dovrebbero mai assorbire quote importanti del portafoglio.

 

Le polizze con maggiore contenuto finanziario. Sono, invece, caratterizzate da un maggior contenuto finanziario le polizze index-linked e unit-linked: le prime investono prevalentemente in obbligazioni strutturate, le secondo in fondi comuni. Molto in voga fino a qualche anno fa, queste due soluzioni hanno perso vigore con l’avvento della crisi, che a messo in luce le possibili magagne di alcune obbligazioni pure ritenute di alto standing dalle agenzie di rating (su tutte, il caso Lehman brothers). In entrambi i casi occorre, poi, prestare grande attenzione ai costi, che solitamente aggiungono un caricamento a quello già previsto per gli strumenti scelti come sottostante. Le compagnie emittenti hanno l’obbligo di dichiarare nella proposta di contratto l’indicatore sintetico dei costi, ma vanno anche considerati i costi impliciti legati alla complessità degli strumenti su cui si investe, di comprensione non immediata per molti risparmiatori.

 

La fiscalità di favore. Il vantaggio di investire in polizze anziché in fondi comuni è principalmente di natura fiscale. Le soluzioni assicurativi non sono soggette alla tassazione per competenza tipica dei fondi, ma di cassa: questo significa che la tassazione viene applicata solo alla scadenza, per cui l’imposta va versata solo al termine dell’investimento (parametrata sui risultati della gestione), con la possibilità quindi di mantenere investite sino alla scadenza anche le somme che in caso contrario sarebbero versate annualmente al fisco.

Inoltre le polizze vita sono escluse dall’aggravio del bollo sul dossier titoli introdotto con la manovra di luglio, che prevede il passaggio da 34,20 a 120 euro l’anno, costo che dal 2013 salirà a 150 euro per chi ha titoli fino a 50 mila euro sul dossier, per arrivare addirittura a 380 euro annui, per le somme più elevate. Lo stesso provvedimento normativo ha previsto l’introduzione di un’aliquota unica sui guadagni derivanti dai prodotti finanziari, che porta il prelievo fiscale dal 12,5 al 20%. Un aggravio dal quale sono esclusi i titoli di Stato, che restano al 12,5%. Un’altra novità è attesa per i prossimi mesi: la delega previdenziale dovrebbe portare a un calo del prelievo fiscale sui prodotti che si muovono con un’ottica di lunghissimo periodo. È il caso dei fondi pensione, così come delle polizze con finalità previdenziale (i cosiddetti Pip). Dal beneficio dovrebbero, in ogni caso, essere esclusi i prodotti già collocati sul mercato.

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