Un analista fa le pulci alla nuova normativa e spiega che qualche rischio rimane: «In alcune situazioni può amplificare le perdite»
IL DIVIETO CONSOB Questa volta il marchingegno studiato dalla Consob per bloccare le vendite allo scoperto su 29 titoli tra banche e assicurazioni pare che sia quasi impossibile da scardinare. A sostenerlo è un’analista che chiede l’anonimato e che, il 16 luglio scorso, aveva confidato a B&F tutte le falle della decisione presa in quei giorni dall’Authority per imporre a chi giocava al ribasso di uscire dall’anonimato nel caso di posizioni corte superiori allo 0,2% del capitale delle emittenti.
Il nuovo provvedimento, invece, ha imposto un divieto assoluto di andare allo scoperto, opzioni incluse, ed è stato messo in piedi in fretta e furia lo scorso 12 agosto, quando Piazza Affari – e in particolare i titoli finanziari italiani – era nel pieno della violenta tempesta estiva dei mercati. In origine lo stop doveva durare solo un paio di settimane, ma è già stato prolungato fino alla fine di settembre ed è possibile che la nuova deadline sia spostata ancora più in là (provvedimenti analoghi, del resto, sono stati presi da Spagna, Francia, Belgio e Grecia). «L’unica possibilità per chi vuole vendere allo scoperto – sostiene l’analista – è rimasta quella di rivolgersi alle dark pool, ma con tutti i limiti che questo comporta: si tratta di un mercato non regolamentato e, soprattutto, è accessibile solo ed esclusivamente a soggetti istituzionali».
Questo non vuole dire, comunque, che tutto sia filato liscio. Per esempio, ricorda l’analista, il regolamento prevedeva il divieto su una lista di 29 titoli che sarebbe dovuta essere disponibile sul sito dell’Autorità presieduta da Giuseppe Vegas dall’introduzione dello stop, «ma quella mattina, per circa tre quarti d’ora, non c’era traccia della lista, portando caos tra gli operatori». Insomma, la partenza è stata faticosa, ma qualche effetto sembra esserci stato. «Una norma di questo genere – dice la nostra fonte – non può essere aggirata facilmente e penso che sia in grado di fermare gli speculatori e attenuare la flessione nei momenti di grande volatilità». A volte, però, lo stop potrebbe fare più male che bene. «Nei casi di vendite importanti di chi vuole alleggerire l’esposizione – spiega – i titoli possono andare giù a picco ed è in questi momenti che l’intervento degli shortisti servirebbe a ridurre il ribasso, dato che cercherebbero di chiudere le posizioni comprando a man bassa per consolidare i profitti».