Probabilmente oggi il governo farà marcia indietro sull’idea di scorporare gli anni di naja e di università ai fini del calcolo dell’età pensionabile. E di tutta questa questione resterà solo la brutta figura dell’esecutivo. Ma prima di recuperare il danno inferto al rapporto con l’opinione pubblica ce ne vorrà. Il governo, infatti, aveva cercato di indorare la pillola, ricordando che comunque l’assegno liquidato al momento dell’effettivo ingresso in pensione avrebbe tenuto conto anche del periodo riscattato. Peccato che non fosse proprio così, e non solo perché chi era in attesa di andare in pensione con il metodo retributivo non avrebbe visto alcun incremento (l’assegno sarebbe stato comunque pari all’80% della media degli stipendi percepiti negli ultimi dieci anni d’attività). A essere penalizzati sarebbero stati anche tutti gli altri, quelli in attesa di andare in pensione con il sistema misto o con il calcolo contributivo. E la ragione è semplice: a fronte del costo (non indifferente) del riscatto degli anni di laurea, il lavoratore che avesse dovuto spostare più in là il momento del ritiro in pensione avrebbe potuto anche ricevere un assegno più pesante, ma ne avrebbe goduto per un numero di anni minore, visto che non è possibile spostare per legge anche il momento della dipartita. Fuori da ogni battuta, la questione è molto seria, come ha spiegato Sergio Sorgi, di Progetica, uno dei maggiori esperti del settore previdenziale, intervistato da Jole Saggese su Class Cnbc. «Bisogna essere seri e attenersi ai numeri», ha premesso Sorgi, «il riscatto conviene in linea di principio perché equo: i soldi che diamo ci vengono restituiti ma in più sono fiscalmente deducibili. Però il fatto che rispetto alla situazione precedente si usufruisca della pensione per meno tempo porta dei costi. Alcuni numeri, le prime stime che abbiamo elaborato sui lavoratori dipendenti: nel corso della sua vita pensionistica un maschio di 30 anni, rispetto a prima, partendo da un reddito medio e da una pensione media, può aspettarsi 60 mila euro complessivi in meno, 55 mila per un 40enne, che con il riscatto fruirebbe di tre anni di anticipo, e 45 mila euro per un 50enne. Impatto psicologico quindi ma anche economico».
E si tratta di un impatto probabilmente sottovalutato dal governo e dai suoi tecnici, che peraltro hanno sorvolato pure sul ginepraio di problemi tecnici che norme del genere avrebbero innescato.
Il corto circuito normativo sarebbe stato più oneroso proprio per chi attende di andare in pensione con il metodo retributivo. Si tratta di chi nel 1996 aveva già maturato 18 anni di contribuzione. Se una parte di questi era stata ottenuta riscattando la laurea, che conseguenze avrebbe avuto la nuova norma? Gli anni di università si sarebbero dovuti cancellare, facendo perdere il requisito per la pensione retributiva? Quesito che, si spera, nessuno dovrà più sciogliere. (riproduzione riservata)