Quarant’anni di contributi non bastano più. Fino a qualche anno fa, per chi iniziava a lavorare molto giovane, questo era il massimo della carriera professionale. Da un po’ di tempo non è più così, e la manovra del luglio scorso ha ulteriormente spostato in avanti la soglia, che nel 2014 arriverà di fatto a 41 anni e 3 mesi e anche di più per i lavoratori autonomi.
Ma non è finita qui. La manovra-bis di Ferragosto, nella versione ritoccata in base all’accordo di lunedì scorso tra Pdl-Lega, picchia ancora una volta sulla possibilità di pensionarsi senza guardare la carta d’identità. A quanto pare, infatti, d’ora in poi i 40 anni devono essere tutti di lavoro effettivo, senza contare cioè eventuali riscatti di laurea o la contribuzione figurativa come il servizio militare.
I penalizzati. Secondo prime stime del governo, con l’operazione 40 anni effettivi si risparmieranno 500 milioni nel 2013, un miliardo nel 2014 e ancora di più negli anni successivi.
Del resto, coloro che vanno in pensione con 40 anni di contributi indipendentemente dall’età non sono poi tanto pochi. Secondo i dati Inps, su circa 180 mila pensioni di anzianità liquidate nel 2010, ben 125 mila sono state di questo tipo (75 mila a lavoratori dipendenti e 50 mila ad autonomi) e solo 55 mila i pensionati usciti col sistema delle quote (35 anni di contributi più il requisito anagrafico dell’ età).
Una via crucis. Come accennato, la via crucis dell’anzianità con 40 anni è iniziata l’anno scorso con la famosa «finestra mobile», il meccanismo che ritarda il pensionamento di un anno dal raggiungimento dei requisiti.
Poi è arrivata la manovra di luglio dove è previsto che i lavoratori dipendenti o autonomi che maturino i requisiti per il diritto al pensionamento indipendentemente dall’età anagrafica (ossia vanno in pensione con 40 anni di contributi) conseguano il diritto alla decorrenza con un posticipo ulteriore pari a: un mese dalla data di maturazione dei requisiti previsti per i soggetti che raggiungono i requisiti nel 2012; due mesi per i soggetti che maturino i requisiti nel 2013 e tre mesi per i soggetti che raggiungono i requisiti a decorrere dal 1° gennaio 2014. Finora, però, si potevano far valere non solo gli anni effettivi di lavoro, ma anche il riscatto della laurea e il militare. In alcuni casi per maturare il diritto potevano bastare anche meno dei fatidici 35 anni di lavoro, ai quali si potevano sommare gli anni del corso di laurea e la naja.
40 anni effettivi. Con la modifica che verrà operata al decreto del 13 agosto ciò non sarà più possibile.
Per andare in pensione a prescindere dall’età bisognerà avere alle spalle almeno 40 anni di lavoro effettivo (per chi invece va in pensione anche col requisito dell’età non cambia nulla). Le annualità riscattate, dice il comunicato della Presidenza del Consiglio, continueranno però a essere utili ai fini del calcolo della pensione. In pratica, il lavoratore andrebbe via dopo 40 anni di lavoro, ma la pensione gli verrebbe calcolata su tutti i contributi versati e quindi, nel caso del riscatto di un normale corso di laurea, su 44-45 anni.
Questo sicuramente sarà possibile per coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995 e hanno quindi la pensione calcolata interamente col metodo contributivo e per coloro che nel 1995 avevano meno di 18 anni di versamenti e hanno l’assegno calcolato col sistema misto (retributivo fino a quel momento e contributivo per le annualità successive).
Non dovrebbe valere invece per chi ancora va in pensione col retributivo (coloro che avevano più di 18 anni di contributi nel 1995), perché in questo sistema la pensione è calcolata al massimo su 40 anni di versamenti.
Questi ultimi, se la norma nella versione definitiva che uscirà dal parlamento non dovesse essere scritta in maniera accorta, sarebbero gravemente penalizzati in quanto perderebbero i contributi recuperati con il riscattato.
Non è difficile immaginare un infinito contenzioso giudiziario.