La crisi continua a pesare sui bilanci delle famiglie italiane: molti hanno dovuto rinviare l’acquisto di una casa o dell’auto e una buona percentuale è stata costretta a intaccare i propri risparmi. È quanto emerge dall’Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani – 2011, progetto del Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi e di Intesa Sanpaolo. La ricerca si avvale della collaborazione della Doxa che, a febbraio e marzo, ha raccolto le interviste di un campione di 1.057 capofamiglia, con l’unico requisito che fossero correntisti bancari e/o postali.
Dallo studio, nel 2011, è cresciuto dal 45,1 al 43,4% il saldo tra la percentuale degli intervistati che ritiene sufficiente il proprio reddito e chi lo giudica insufficiente. Per il 45% la crisi non è finita e il 44% è stato costretto a intaccare i propri risparmi. In particolare, l’impossibilità di risparmiare è più alta nel Mezzogiorno (67,6%). I risparmiatori sono solo il 47,2% del campione e il tasso medio del risparmio è sceso al 9%. Tra le motivazioni al risparmio prevale quella precauzionale (48,1%), cresce di poco la previdenziale (13,8%), mentre si riduce il motivo ereditario (il risparmio per i figli scende al 12,7 dal 18,1%). Dai risultati emerge poi che il 70,4% degli intervistati ha un orizzonte degli investimenti limitato a tre anni o meno. E ancora: la casa per l’82% resta l’investimento più sicuro.
La ricerca approfondisce, quindi, il tema del risparmio dei giovani, tra i 18 e i 29 anni. Il campione riguarda 403 persone, di cui l’89% è celibe e il 96,3% non ha figli. Il 77% vive in casa con i genitori e solo il 51,5% degli occupati ha un lavoro a tempo indeterminato. Meno di un giovane su due si dichiara indipendente finanziariamente. Emerge poi una scarsa conoscenza degli strumenti di risparmio: il 49,9% non sa cosa siano le obbligazioni e l’83,6% non conosce i fondi e anche in questo caso il mattone resta l’investimento preferito. Interesse limitato dei giovani, invece, per l’epoca della pensione: tra il 50 e il 60% non sa formulare alcuna ipotesi sul tasso di sostituzione del proprio reddito all’epoca della pensione e l’8,2% ha un fondo pensione, ma quasi in nessun caso vi ha investito con fondi propri, essendo conversione dei tfr.