Al contrario che nelle banche, in questo settore una grossa parte delle eventuali perdite farebbero capo direttamente agli assicurati tramite minori guadagni
Non soltanto le banche sono in pericolo. Anche le assicurazioni europee sono sedute su un vulcano addormentato e rischiano grosso se il tappo dovesse saltare. Il vulcano è la montagna di titoli di Stato di diversi paesi europei considerati a rischio default, a cominciare dalla Grecia, di cui le compagnie si sono riempiti i bilanci negli anni passati e che adesso potrebbero causare forti perdite e in alcuni casi limite potrebbero minacciare la stessa sopravvivenza di alcune imprese assicurative qualora quelli che per ora restano solo timori dovessero tramutarsi in amara realtà. È stato il Wall Street Journal, l’autorevole quotidiano finanziario americano, a lanciare l’allarme la scorsa settimana con un articolo che mostra che gli assicuratori con una quota in assoluto più alta del debito sovrano greco sono quelli francesi, esposti complessivamente per 9 miliardi di euro. Seguono le compagnie italiane e quelle tedesche, esposte rispettivamente per 4 e 3,5 miliardi. Mentre il piccolo Belgio, con la sua ex Fortis (ora Ageas) è esposto per ben 2,5 miliardi. Del resto, non soltanto le compagnie europee ma anche l’americana Aflac – che dall’inizio di maggio a oggi ha perso in borsa il 20 per cento ha avvertito qualche giorno fa che è esposta per ben 2,9 miliardi di dollari nel debito sovrano e bancario dei cosiddetti “paesi periferici” dell’Europa, quelli considerati a rischio default come Grecia, Portogallo, Irlanda e che riporterà in bilancio una perdita di 610 milioni di dollari per la vendita di investimenti effettuati in passato in banche e istituzioni finanziarie di questi paesi. A preoccupare non è tanto il default di un singolo paese come la Grecia (comunque facilmente gestibile da qualunque compagnia europea) quanto il famigerato “effetto valanga” che potrebbe ripercuotersi anche sulla capacità degli stati di Irlanda, Portogallo e persino Spagna di rimborsare il debito pubblico. Senza considerare che in questo malaugurato caso anche l’Italia potrebbe essere trascinata nel gorgo. Uno scenario apocalittico che nessuno, fra gli analisti, vuole nemmeno prendere in considerazione perché lo ritiene fuori dalla realtà. Per comprendere il motivo per cui i conti delle compagnie potrebbero risentire del default di qualche paese, occorre partire dal fatto che uno degli investimenti finora considerati più sicuri – a fronte delle obbligazioni contratte con i propri clienti di pagare le polizze vita a scadenza o i danni dei sinistri – è stato quello dei titoli di Stato. Le compagnie sono prudenti come i contadini: preferiscono andare sul sicuro con poche azioni ma molti bond governativi. Negli ultimi anni, alla ricerca di migliori rendimenti, alcune imprese assicurative hanno diversificato il proprio portafoglio in bond governativi di vari paesi. E sono state naturalmente attratte da chi, come la Grecia, Portogallo, Irlanda e anche Spagna e Italia, presentava cedole più elevate. Così Ageas (ex Fortis) si è riempita di titoli di Stato greci fino ad esporsi per il 14,3 per cento del proprio “Tangible Net Asset Value” (mezzi propri al netto degli avviamenti). Ma, secondo l’istituto di ricerca Autonomous (che come indica il nome è l’unico in Europa a essere indipendente dalle grandi banche) sarebbe in realtà l’italiana Mediolanum a essere più esposta verso la Grecia rispetto ai mezzi propri, con il 22,3 per cento. Da notare che le percentuali riportate nei grafici in pagina cercano di fare chiarezza su un punto un po’ oscuro: infatti non è tanto l’esposizione in termini assoluti a impattare sui conti, quanto l’esposizione che fa capo effettivamente agli shareholders, cioè agli azionisti. Infatti, se per ipotesi uno o più paesi oggi considerati a rischio fossero costretti a dichiarare default, una parte di queste perdite (si ipotizza nel caso europeo al massimo il 50 per cento se persino con Lehman Brothers si riuscirà a recuperare il 30 per cento) farebbero capo direttamente agli assicurati che pagherebbero di persona sotto forma di minori rendimenti sulle polizze vita. Questo è anche il motivo per cui per le compagnie eventuali default di interi paesi impatterebbero meno sui conti rispetto alle banche, che sarebbero direttamente investite dallo tsunami: una crisi sistemica porterebbe infatti i clienti a ritirare immediatamente la liquidità dai conti. I dati di Autonomous tentano di misurare l’effettiva esposizione, depurata da ciò che compete agli assicurati, sui conti delle compagnie. Anche se, avvertono gli analisti, si tratta pur sempre di una grande approssimazione. «Bisognerebbe guardare dentro i conti di ciascuna impresa – dice un analista . Ad esempio il real estate di Generali pesa molto sul Tangible Nav, ma si tratta di valori di bilancio perché quelli effettivi di mercato sono molto superiori non essendo mai stati rivalutati. Soltanto entrando dentro i singoli conti si potrebbe dire qualcosa di più preciso per le varie compagnie». In ogni caso i rischi a cui le compagnie potrebbero andare incontro con i debiti sovrani sono attentamente monitorati dall’Eiopa, l’autorità europea sulle assicurazioni e sulle pensioni: «Io credo che l’esposizione verso i rischi sovrani – ha detto il presidente Gabriel Bernardino – sia gestibile. La maggior parte delle compagnie ha portafogli sufficientemente diversificati e anche se alcuni asset perdono valore non sarà abbastanza da abbatterle, anche se alcune imprese potrebbero avere dei problemi». Certo, lo scenario finedelmondo rimane fuori da ogni considerazione. Come si vede da uno dei grafici in pagina, se cadessero come birilli tutti e cinque i paesi periferici, compresa Spagna e Italia, sarebbero grossi guai per Fonsai (esposta per il 672,8 per cento sul debito italiano (su un totale del 688,4), ma anche per Mediolanum (240,5 per cento l’esposizione totale) e probabilmente anche per Generali (149,5 per cento), che peraltro è pochissimo esposta sugli altri quattro paesi europei a rischio. «Ma si tratta di uno scenario fantasioso – dice un analista . E comunque, se andassero in default i cinque paesi, le compagnie sarebbero davvero l’ultimo problema di cui preoccuparsi». (a.bon.)