Ormai lo si può dire con certezza. Il risarcimento del danno esistenziale è pienamente riconosciuto in giudizio. Ora che tre sentenze della Cassazione in poco più di un mese lo hanno confermato a chiare lettere, sia quando hanno respinto che quando hanno accolto la richiesta del ricorrente. La sentenza a Sezioni Unite che, due anni e mezzo or sono, è stata frettolosamente presentata da (quasi tutti) i media come la fine del danno esistenziale, non era il becchino ma, semmai, la levatrice di un nuovo danno esistenziale, che invita gli avvocati a una maggiore attenzione all’onere di allegazione dei fatti e delle relative norme di riferimento. Per danno esistenziale si intende ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto. Si tratta di un danno che lede le attività realizzatrici della persona, che altera le abitudini e gli assetti relazionali, inducendo a scelte di vita diverse in merito all’espressione e alla realizzazione della personalità nel mondo esterno. Nonostante l’enfasi della definizione, questa nozione anima una casistica ricca di situazioni comuni, che possono accadere a tutti. Ad esempio il risarcimento del danno esistenziale è stato riconosciuto a fronte della trasmissione di messaggi pubblicitari illegittimi durante la trasmissione di una partita di calcio (dalla sentenza n. 21934 del 29 agosto 2008 delle Sezioni Unite della Cassazione) e della prolungata attesa di copia esecutiva di alcune sentenze lamentata da un avvocato (con conseguente condanna della pubblica amministrazione da parte della sentenza del 18 gennaio 2006 del giudice di pace di Napoli). In questa casistica si inserisce ora la vicenda esaminata dalla Corte di cassazione, con sentenza n. 12273 dello scorso 7 giugno, che ha riconosciuto il danno esistenziale patito dagli eredi per la morte del congiunto in un incidente stradale. Questa pronuncia riafferma la nozione unitaria di danno non patrimoniale non suscettibile di suddivisione in sottocategorie distinte e autonome, affermata nel novembre del 2008 dalle Sezioni Unite che rimettevano al giudice il compito di «accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione». Ma se, secondo la sentenza del 7 giugno, «Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno», le scaturigini esistenziali della nozione di danno non patrimoniale si caratterizzano per una accezione di portata assolutamente ampia. La liquidazione del danno conseguente alla lesione dei diritti inviolabili della persona ha carattere unitario, ma all’interno di questa valutazione unitaria deve essere considerato il danno esistenziale, che comprende «Sconvolgimento, modificazioni, frustrazioni relazionali rispetto a tutto ciò che, della vita, è “altro da sé”». La sentenza ha così censurato la pronuncia di merito, per non aver valutato lo «sconvolgimento delle abitudini di vita dei congiunti della vittima».
Ancora in materia di danno subito per la morte del congiunto la Suprema corte, con sentenza del 9 maggio 2011, n. 10107, ha rilevato che se nel primo grado di giudizio si chiede il risarcimento di tutti i danni derivanti dalla perdita del congiunto, la richiesta del risarcimento del danno esistenziale specifica nei successivi gradi di giudizio non può essere considerata una domanda (inammissibile perché) nuova, ma è semplicemente una (ammissibile) specificazione della richiesta originaria.
Anche con la sentenza dello scorso 17 giugno, n. 13356, di segno negativo per un lavoratore a suo dire mobbizzato, la Corte di cassazione non ha negato in radice la risarcibilità del danno esistenziale. Nel caso affrontato ha invece ritenuto non provate le circostanze «dirette a dimostrare l’adozione di scelte di vita diverse da quelle che sarebbero state effettuate in assenza dell’evento dannoso». Questo onere va comunque assolto anche in caso di liquidazione in via equitativa del danno e se «la prova in questione può essere anche presuntiva, è altrettanto vero che la parte è onerata di fornire al giudice una serie concatenata di circostanze, quali la durata, la gravità, la conoscibilità dell’inadempimento all’interno e all’esterno del luogo di lavoro, le reazioni del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, gli effetti negativi sulle sue abitudini di vita».