Il finanziere bretone lancia un bond da 350 milioni di euro aumentando così la sua liquidità complessiva fino a 700 milioni. Altrettante cartucce pronte a essere usate per aumentare la sua quota nell’istituto milanese. E renderlo più forte a settembre per il rinnovo del patto
Vincent Bolloré, il finanziere bretone ormai presenza fissa e di primo piano nell’establishment italiano soprattutto per il suo ruolo in Mediobanca, sta raccogliendo mezzi freschi. È di venerdì scorso la notizia del lancio della prima emissione obbligazionaria in euro da parte del gruppo. L’importo complessivo offerto a investitori istituzionali è di 350 milioni. L’operazione ha avuto molto successo: sono arrivati 180 ordini per un controvalore complessivo di 850 milioni. Ottimo: vuol dire che questo dinamico signore ha appeal. Ma non è l’unica mossa fatta con la stessa finalità: il 19 maggio scorso ha chiuso una partita di vendite a termine su titoli Vallourec portando a casa 275 milioni di euro. Sul finire dello scorso anno, si era invece attivato sul mercato americano: aveva collocato bond in private placement per 123 milioni di dollari. Le tre operazioni hanno fanno affluire nelle casse del gruppo attorno ai 700 milioni di euro. Nulla di stratosferico, per carità, in Borsa ci hanno riabituati agli zero facili, però pur sempre una cifra di tutto rispetto.
A che cosa gli serve? Perché si è messo a far cassa? Ha in mente qualcosa di preciso? O semplicemente vuol tenersi pronto nel caso arrivasse un’occasione? Bolloré è un signore di buone maniere e di indubbio charme, ma è anche un operatore lucido e determinato. Se si muove è perché segue un progetto preciso, con intelligenza, tenacia e un pizzico di spregiudicatezza, che negli affari è sempre d’aiuto. Lo ha dimostrato la penultima vicenda che lo ha visto protagonista dalle nostre parti, vale a dire il tentativo di ingresso di Groupama nella Fonsai di Salvatore Ligresti: come noto, non se n’è fatto nulla, ma comunque l’affaire gli ha consentito di realizzare una simpatica plusvalenza.
Meno bene gli è andata l’operazione successiva, quella delle Generali. Bolloré non ha votato a favore del bilancio e sperava di poter accrescere il suo ruolo nella compagnia facendo affidamento sull’amicizia con l’allora presidente Cesare Geronzi. Non è andata così: i due sono stati battuti e Geronzi ha dovuto uscire di scena. Dopo l’insuccesso, qualcuno aveva profetizzato che Bolloré fosse stanco dell’Italia e avesse addirittura deciso di smarcarsi dal suo investimento più importante sulla nostra piazza, vale a dire Mediobanca, della quale possiede (ufficialmente) circa il 5 per cento che gli dà diritto di partecipare al patto di sindacato che controlla l’istituto.
Ma lui stesso ha smentito quest’ipotesi: «Resteremo in Piazzetta Cuccia», ha detto. E ora la sua caccia alla liquidità, di cui si è detto, potrebbe essere finalizzata proprio a seguire un percorso opposto: salire nell’azionariato per essere pronto, a settembre, quando si dovrà rifare il patto di sindacato, a trattare da posizioni di forza. Magari a capo di un gruppo di azionisti stranieri fra i quali spicca proprio Groupama. E di fronte a forze politiche impegnate a sopraffarsi l’una con l’altra. E dunque con pochissimo tempo da dedicare a futilità come il controllo del più importante centro di potere finanziario italiano.